Difficoltà e
successi, rabbia e amicizie, paure ed emozioni: nei racconti di Matteo, Anna e
Gabriel, minori che vivono nel Villaggio SOS di Vicenza, c'è questo e molto
altro. Un mix di emozioni contrastanti che, solo per il coraggio dimostrato nel
raccontarle in pubblico, meritano di essere ascoltate. Non si tratta di sparuti casi isolati, quanto, invece, della punta di
un iceberg che coinvolge oltre 29mila minori accolti fuori dalla famiglia
d'origine in Italia ed è su di loro che si concentrano i progetti di SOSVillaggi dei bambini: da Trento a Roma, da Mantova a Saronno, da Morosolo a Ostuni passando, come detto, da Vicenza.
Individuare con il maggiore anticipo possibile i casi a rischio di separazione figli/genitori sostenendo la famiglia, rafforzando le capacità genitoriali e, altra faccia della medaglia, supportando la comunità e le strutture pubbliche per potenziare il sistema di supporto alle famiglie vulnerabili. Asili nido, dunque, ma anche centri diurni, servizi di counselling, sportelli di ascolto individuale per genitori e spazi per il diritto di relazione, nati per favorire il legame tra genitori e figli durante il periodo di allontanamento.
Quando e solo quando non ci sono le condizioni oggettive perché il bambino rimanga con la famiglia d'origine e la forma di accoglienza di tipo familiare è considerata l'opzione migliore, SOS Villaggi dei bambini apre le porte delle proprie case-famiglia all'interno delle quali un'educatrice residenziale ricrea, insieme con i bambini, un ambiente familiare.
«
È difficile accettare che esistono genitori che non hanno i mezzi, la maturità o la forza di tirar su dei figli. È
difficile accettare che esistono genitori instabili e con seri problemi come le droghe o le malattie mentali. È
difficile capire che l’allontanamento dalla famiglia d’origine è la soluzione per evitare che questi bambini
rischino di diventare dei reietti della nostra società. È facile pensare che si possono lavare sempre i panni
sporchi, in casa.
È facile sputare contro un servizio sociale che cerca di creare una situazione di stabilità e
un ambiente sano dove far crescere il minore. È facile scrivere o parlare di realtà sconosciute, inventando
trame di complotti, d’interessi e di soldi» queste le prime parole di Jennifer Zicca, che ha vissuto in una casa
di accoglienza e oggi è socia di Agevolando, associazione nata dall’iniziativa di alcuni giovani che hanno
trascorso parte della loro vita “fuori famiglia”.
Federico Zullo, fondatore di
Agevolando, ha vissuto in accoglienza e sottolinea l’importanza di
favorire il protagonismo e la partecipazione di ospiti ed ex-ospiti di contesti residenziali “fuori famiglia”.
«I nostri obiettivi possono essere sintetizzati nel favorire il protagonismo e la
partecipazione di ospiti ed ex-ospiti di contesti
residenziali “fuori famiglia”;
nel promuovere una cultura dell’accoglienza “fuori-famiglia” che sappia riconoscere
quali siano gli aspetti fondamentali da tenere in considerazione per
garantire
percorsi protettivi di qualità e, allo stesso tempo, che sia in grado di dare
visibilità all’impegno quotidiano di molti professionisti del sociale, sempre più in
balìa delle attuali condizioni congiunturali ma mai stanchi di continuare a
“lottare” per migliorare le condizioni dei bambini e i ragazzi che vivono lontano
dalla loro famiglia;
nel garantire percorsi in grado di assicurare ai ragazzi il “principio della
continuità
dell’intervento”, così come raccomandato nel 2005 dal Consiglio Europeo in
merito ai diritti dei minori “fuori famiglia”: un buon intervento di accoglienza
residenziale non può esimersi dalla necessità di progettare e realizzare azioni in
grado di permettere ai giovani in uscita di raggiungere compiutamente la loro
autonomia e di finalizzare i percorsi avviati in precedenza, in funzione di una
cura efficace, integrata e risolutiva».
«
Il tema del diciottesimo anno e del vuoto sociale e di risorse che ne consegue
rappresenta il principale ambito di intervento della nostra associazione ed oggi più
che mai è un’emergenza da fronteggiare…nuovi scenari preoccupanti si stanno
affacciando in questa “terra di nessuno”».
Per
Jennifer Zicca, socia Agevolando, «
Il percorso in casa famiglia o in comunità di tipo famigliare è uno dei percorsi che può
essere realmente tutelante per un bambino che ha e potrebbe continuare a subire e
vedere violenze.
Molti di quelli che come me hanno vissuto l’esperienza della comunità sono riusciti a
ricevere coraggio, forza, educazione, sostegno morale e psicologico, tutti elementi
fondamentali per
crescere e diventare adulti. Riconosciamo in quel luogo un punto di
riferimento, come se noi fossimo delle barchette in mezzo al mare e quello fosse il nostro
faro».
«Penso spesso che se le mura di quelle strutture potessero raccontare le storie che
hanno sentito potrebbero raccontarci storie di crescita, aiuto e supporto.
Quando arrivò il momento di uscire da quel luogo famigliare ero preoccupata, non
avevo più certezze ma solo tanta paure e mi faceva male sapere che avrei dovuto
rinunciare a quel fondamentale supporto che era stato per me in quegli anni la comunità.
Anche per questo ho aderito al progetto di Agevolando: credo possa dare conforto e
rassicurazione a tanti giovani e, raccontando la mia esperienza, sento che anch’io posso
dare il mio contributo».
Cosa ha comportato per SOS Villaggi dei Bambini assumere ed attuare i principi di necessità e
appropriatezza che ispirano le Linee Guida ONU per i bambini fuori famiglia?
Samantha Tedesco ha spiegato come questo «ha significato attivare un
percorso di ricerca azione che si è strutturato infine nella policy “Family first”, ossia
la “famiglia al centro”
dei nostri interventi.
Lavorare con le famiglie seguendo il principio di necessità significa in quest’ottica
operare per rimuovere
tutti i fattori che possono rendere necessario allontanare i bambini dalle proprie famiglie; seguire il
principio di appropriatezza comporta la capacità di strutturare interventi adeguati nei confronti dei
bambini e delle loro famiglie durante tutto il percorso di presa in carico, dal momento dell’accoglienza al
momento delle dimissioni».
«Come organizzazione questo è stato un punto di arrivo, abbiamo 60 anni di storia e nasciamo come
organizzazione centrata sul bambino e sulla sua accoglienza: questo
ampliamento verso una solidarietà
estensiva, che ha come focus il bambino con la sua famiglia d’origine ha rappresentato un cambiamento
culturale e metodologico che ha rivoluzionato il nostro modo di intervenire. Se prima il centro
dell’intervento consisteva infatti nell’accoglienza dei bambini presso le nostre case, ora da dieci anni a
questa parte il nostro impegno si rivolge principalmente alla prevenzione, attraverso programmi di
rafforzamento familiare che favoriscano il mantenimento dei bambini presso le loro famiglie. Non solo,
anche i progetti individualizzati dei bambini accolti nelle nostre strutture residenziali vengono oggi cocostruiti
con l’obiettivo di
preservare e possibilmente migliorare la qualità delle relazioni dei bambini con la
propria rete primaria. Questi mutamenti ci hanno stimolato a promuovere una formazione specifica dei
nostri operatori per il lavoro con le famiglie d’origine e con i gruppi di fratelli».
Il diritto del minore a vivere nella propria famiglia è uno dei diritti affermati dalla Convenzione sui
diritti del fanciullo adottata a New York il 20.11.1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge
27.5.1991 n. 176, un principio costituzionale per l’Italia, ribadito peraltro dalla Legge 149
sull’adozione. «Sarebbe però miope - sostiene
Susanna Galli, giudice Onorario del Tribunale per i Minorenni di Milano - non considerare quanto siano gravi le ripercussioni sui diritti dei bambini di
questo momento in cui
gli effetti della crisi economica si abbattono sulle persone e sulle famiglie e
producono sempre più esclusione sociale, amplificando il rischio di frammentazione dei legami
familiari e di crisi personali».
«Ogni giorno la stampa richiama l’urgenza di una crisi che sta
divorando non solo spazi di sicurezza e ben-essere individuale ma anche e soprattutto i legami
sociali. Crediamo che non si possa assistere passivamente all’incremento, anche a livello
giudiziario, degli effetti della crisi – economica e culturale che stiamo vivendo - rimanendo
impassibili di fronte al rischio di arretramento della cultura dei diritti dei soggetti minori di età che
si sta verificando».
«Ancorata a questa premessa ho voluto partire da un terreno comune, in cui si riconoscono i molti
operatori presenti, per aprire la riflessione verso un perimetro più ampio e complesso, definito
dalla Corte Europea sui diritti dell’uomo.
Sul piano culturale, lo sguardo rivolto alla CEDU dimostra come gli aspetti collegati alla tutela dei
minori non possa ormai più prescindere dalla dimensione globale che tali tematiche assumono, non
solo per coinvolgere, sempre più di frequente, interessi che ruotano, fisiologicamente o
patologicamente, attorno a realtà territoriali nazionali diverse, ma anche per la consapevolezza che,
essendo in gioco diritti fondamentali di soggetti vulnerabili, la diversità di tutele rispetto ai
destinatari, a seconda del Paese in cui si trattano tali problematiche, appare sempre più
problematica».
«
In realtà il concetto di superiore interesse del minore è estraneo all’esperienza normativa della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che all’art.8 non ne fa cenno alcuno mentre campeggia,
ad esempio, nella Carta di Nizza-Strasburgo.
Di fatto pur consapevole dei pochissimi riferimenti ai diritti del minore nella Convenzione europea
dei diritti dell’uomo, uno degli aspetti tenuti sempre presenti dai giudici di Strasburgo è quello della
ricerca dell’interesse del minore nelle diverse situazioni concrete, e nel
diritto alla relazione tra
genitori e figli, la Corte ha costantemente riaffermato come l’allontanamento del minore dalla
famiglia, la sua istituzionalizzazione e ogni misura limitativa, sospensiva o ablativa della potestà
genitoriale che vadano ad incidere in modo determinante su tale aspetto fondamentale, debbano
essere assunti con estrema prudenza ed esatta ponderazione degli interessi pubblici e privati in
gioco.
Il provvedimento di allontanamento deve avere dunque carattere temporaneo e prevedere la
prospettiva di un recupero delle relazioni familiari, secondo un progetto che sia stato studiato sulla
situazione concreta, possibilmente con il coinvolgimento dei soggetti interessati, e condiviso tra i
servizi».