La proposta di riforma riguarda la possibilità di adozione del minore da parte della famiglia affidataria nei frequenti casi in cui, dopo un lungo affido, viene stabilita l’adottabilità del bambino. Il cammino del disegno di legge era stato, fino alla settimana scorsa, sostanzialmente ben accolto dalle organizzazioni che si occupano di accoglienza familiare e dal Tavolo nazionale affido, ma poi un emendamento ha cambiato la prospettiva.
Cosa è accaduto? Il testo, proposto a fine 2013 dalla senatrice Francesca Puglisi (PD), affronta una gravissima problematica, quella degli affidi che vanno ben oltre la “difficoltà temporanea” della famiglia d’origine e che finiscono per lasciare i minori in una sorta di limbo (che dura molto più dei due anni stabiliti dalla legge) presso famiglie affidatarie.
Secondo l’Istituto degli Innocenti i bambini e gli adolescenti rimasti in affidamento familiare per oltre due anni costituiscono la maggioranza degli accolti (corrispondono a circa il 60 per cento del totale, erano il 56 per cento nel 2008). In un numero elevato di casi, la situazione critica che ha giustificato l'allontanamento dalla famiglia originaria si risolve negativamente e il minore è quindi dichiarato adottabile. A questo punto capita non di rado che un bambino o una bambina, già provati da una prima separazione, siano sottoposti ad una seconda dolorosa frattura e «trasferiti» a una terza famiglia, diversa da quella affidataria che per anni li ha visti crescere.
Nella forma in cui era uscito dalla discussione in Commissione Giustizia, il testo del ddl aveva ricevuto l’apprezzamento del Tavolo nazionale affido, perché ammetteva una volta per tutte la possibilità di adozione da parte della famiglia affidataria, a condizione che si trovasse in possesso degli stessi requisiti richiesti dalla legge per gli aspiranti adottivi (coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni).
Ma quando la proposta è giunta alla discussione dell’Aula del Senato, il 5 marzo scorso, il passaggio sui requisiti è stato soppresso. Quindi è stata rimossa la necessità, per gli affidatari, di essere legalmente sposati.
“La ratio della limitazione alle coppie sposate appare di una evidenza cristallina”, precisa il Forum. “Offrire ai bambini una famiglia che abbia il massimo della stabilità e dell’impegno pubblico, attraverso il matrimonio”.
La sfida della proposta in discussione era proprio quella di conciliare due ambiti differenti: avendo premesse diverse - l’adozione un progetto familiare, l’affido una misura di solidarietà temporanea – i due istituti possono essere attuati da soggetti diversi. Ad esempio l’affido, in quanto soluzione temporanea, può essere realizzato anche dai single, ai quali resta anche la possibilità di adottare in “casi speciali” secondo l’art. 44 della legge sulle adozioni. “Ma si tratta, appunto, di casi speciali, mentre la generalità della risposta dello Stato deve necessariamente tendere a dare il massimo a un bambino in difficoltà”, conclude il Forum. “E per lo Stato il massimo è una coppia genitoriale completa, regolarmente sposata, che proprio davanti allo Stato si è impegnata alla stabilità e ai compiti di cura previsti dal codice civile”.