La terribile vicenda di Reggio Emilia, che ha visto diciotto persone arrestate, compreso un sindaco, accusate di aver alterato, con metodi atroci, relazioni e ricordi dei bambini per toglierli ai genitori di origine e affidarli ad altre famiglie, porta al centro dell’attenzione l’istituto dell’affido. Ne abbiamo parlato con Ilaria Zambaldo, responsabile del Progetto affido della Fondazione l’Albero della Vita. «Questi casi suscitano in noi grande preoccupazione, perché generano pericolose generalizzazioni, e portano le persone a guardare con diffidenza all’affido, che invece rimane lo strumento elettivo per inserire i bambini in contesti adeguati alla loro crescita allontanandoli da situazioni familiari difficili. In linea con la legge 194 del 2001, che raccomanda l’affido come prima soluzione per i bambino, da preferire alle comunità e alle case famiglia. Purtroppo, pur essendoci un volume del Ministero che raccoglie le linee guida su come dovrebbe funzionare l’affido, non ci sono procedure uniche, e ci sono anche molte differenze tra regioni confinanti. Quello che mi stupisce del caso di Reggo Emilia è che in generale l’Emilia Romagna, così come la Toscana, sono regioni dove c’è una maggiore trasparenza e dove le cose funzionano in genere molto bene. eppure qualcosa è andato storto. Per quanto riguarda l’eventuale speculazione economica, posso dire che ogni comune corrisponde alle famiglie affidatarie per ogni bambino da un minimo di 100 euro a un massimo di 600 euro mensili. E’ sempre importante e fondamentale puntualizzare le caratteristiche dell’affido che lo differenziano dall’adozione: il primo, per legge e per prassi, è un supporto a una famiglia in difficoltà volto al rientro del minore nel nucleo familiare di origine; l’adozione è un percorso che porta a una genitorialità definitiva».
L’Albero della Vita si occupa di affido del 2005 e ha condotto a buon fine 142 affidi tra la Lombardia e il Piemonte, secondo una procedura collaudata che vede per prima cosa la necessità di formare le future famiglie affidatarie, indagare su quali sono le loro reali motivazioni. E per due anni la coppia a cui è stato affidato il minore viene monitorata con controlli periodici da parte di psicologi per assicurarsi che tutto proceda nel migliore dei modi. Accogliere un bambino che ha dei trascorsi spesso molto traumatici non è infatti semplice. «Per seguire un progetto così delicato occorre una perfetta integrazione tra pubblico e privato. Sono i servizi sociali di un comune a prendere in carico il minore, su cui esercita la tutela legale il sindaco. Sono essi che delegano le realtà private come la nostra a occuparsi dell’iter, partendo dall’individuazione delle famiglie. Soprattutto nei comuni piccoli a volte i servizi sociali rinunciano all’affido perché non sono in grado di individuare le famiglie affidatarie. Competenza, serietà e trasparenza devono essere al centro della dinamica, sempre in nome del primario interesse del bambino».