Più che una notizia è una piccola rivincita. Un venditore ambulante africano entra in una chiesa, s’accorge che un uomo sta tentando di forzare la cassetta dell’elemosina e sventa il furto avvisando subito le forze dell’ordine. E’ accaduto a Foligno, all’interno dello scalo ferroviario della cittadina umbra: alcuni giorni fa un ambulante straniero, in attesa della coincidenza, entrato nella cappellina interna alla stazione con l’intenzione di pregare, s’è imbattuto in un italiano che invece stava cercando di rubare le offerte per i poveri contenute nell’apposita cassettina. Il migrante non ha esitato ad avvertire gli agenti della Polfer che hanno fermato il ladro in flagranza di reato.
Quasi una non-notizia, ci verrebbe da dire. Ma stavolta il protagonista buono, quello che sta dalla parte della giustizia, che dimostra senso civico, tanto quanto basta per impedire un furto, è uno che non t’aspetti: un venditore ambulante straniero; quello che ancora qualche giornale etichetta spregiativamente come “vu cumprà”. Non te l’aspetti perché si è troppo condizionati dall’immagine stereotipata, moltiplicata all’infinito dai media, del migrante che vende abusivamente mercanzia contraffatta sulle spiagge e nelle piazze italiane. Proprio quella del “vu cumprà”, forse, è stata la prima categoria di migranti ad essere stigmatizzata. Quella categoria che in un solo nome porta due difetti: l’incapacità di parlare in un italiano decente e l’assillante intento di venderti qualcosa di fasullo.
E per lunghi anni quella parola è diventata l’appellativo per antonomasia di tutti gli immigrati, di tutti gli stranieri, anche se non facevano gli ambulante di mestiere. E non potevano che essere disturbatori, insolenti e a volte pericolosi. Cosa puoi, quindi, attenderti di buono da un venditore ambulante africano? Lo stereotipo è quel tarlo che entra nei nostri pensieri e vi s’annida per sempre. E’ il pre-giudizio che non prevede giudizio. E’ la pre-comprensione che non contempla la comprensione.
Da qualche tempo, anche grazie alle norme linguistiche che i giornalisti si sono dati nel 2008, attraverso il codice deontologico della “Carta di Roma”, si è quasi riusciti a mettere al bando quell’appellativo offensivo, non ancora, però, tutti i pregiudizi che esso cela. Di certo, notizie come questa possono contribuire a farlo. Ecco perché questa breve di cronaca che capovolge il ruolo dei protagonisti, scombinando i nostri pre-giudizi, è una piccola rivincita per i tanti migranti in un Paese che definisce ancora una persona dalla pelle scura, un uomo “di colore”.