Giovanni Grasso (per gentile concessione dell'autore. Sopra, foto Ansa)
«Oggi è il giorno del mio anniversario di matrimonio». Esordisce così Giovanni Grasso, consigliere del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e scrittore, quando lo intervistiamo. È il 22 maggio, guarda caso anche il giorno dedicato alla devozione popolare di Santa Rita, la santa dei casi impossibili come quello al centro del suo nuovo romanzo.
L’amore non lo vede nessuno (Rizzoli) è un thriller esistenziale sul perdono. E sull’amore. Ma su quale tipo di amore? Coniugale, passionale, spirituale, platonico o l’amore di Dio? «Sull’amore che può far male. Prendo in esame un amore molto forte, probabilmente molto immaturo. Il pendolo va da un amore che si pretende assoluto e sa di passione a uno tossico che sa di dipendenza», spiega Grasso.
La copertina del romanzo di Giovanni Grasso (Rizzoli).
Il racconto inizia in medias res, in una chiesa della provincia comasca. Al funerale di Federica, dalla vita cittadina fra luci e ombre oscura ai familiari, compare un misterioso uomo, addolorato, elegante, dai modi quasi solenni. Silvia, sorella maggiore della ragazza scomparsa, dal cui punto di vista il narratore esterno racconta la storia, lo rivedrà al cimitero intento a depositare sulla tomba della giovane i suoi fiori preferiti, delle peonie rosa. Scatta il mistero. L’uomo, cui Silvia si rivolge per provare a ricostruire il passato di Federica, le propone, a patto che lei non ne indaghi l’identità, un racconto a pezzi: si sarebbero visti ogni martedì, in un bar malfamato nelle vicinanze, alle tre del pomeriggio, per sessanta minuti precisi. I due non si scambiano neanche il numero di telefono: totale anonimato per l’uomo arrivato con l’autista personale. Accetterà Silvia, dalla vita familiare monotona, di incontrarlo? Chi è quest’uomo, che inizialmente si presenta solo con l’iniziale “P” del nome, e cosa potrà rivelarle? Silvia riuscirà a scoprire di chi si tratta? Ma soprattutto Federica è morta in un incidente stradale perché correva troppo con l’auto o perché si è suicidata, o peggio ancora perché è stata uccisa per aver scoperto un segreto inconfessabile? Tutto è possibile e il colpo di scena, con Grasso, è dietro l’angolo. L’analessi con cui si ricostruisce come un puzzle il passato di Federica interrompe la fabula e crea l’intreccio, mentre parallelamente nel presente si compone la figura di Silvia: anche lei si scoprirà un’altra donna? Dell’uomo misterioso, invece, sappiamo che a un certo punto l’amore irrompe nella sua vita con tutta l’irruenza delle cose trattenute. E deflagra. L’autore concede a piccole dosi la storia e i personaggi, inchiodando il lettore fino alla fine, con l’abilità di farlo immedesimare in Silvia che aspetta mister P al tavolino di un bar. All’ultima pagina ci si chiede se ci sarà un seguito che ribalterà la storia raccontata nel romanzo, che forse in realtà deve ancora essere raccontata oltre il velo delle apparenze. Ma l’autore toglie ogni dubbio: «Se il finale è aperto? Per quanto mi riguarda non ci sarà un dopo. Del resto, nella vita dell’uomo non si trovano mai tutte le soluzioni. La vita è un grande interrogativo. Piuttosto chiediamoci se alla fine i protagonisti capiranno che la ricerca dell’assoluto porta solo a grande infelicità e accontentarsi delle piccole gioie della vita non è poi così male o se ricommetteranno un peccato».
Grasso ricorre alla tecnica del giallo psicologico per parlare di altro. La storia-fiction, su cui poggia l’impianto narrativo, è potente, dai risvolti imprevedibili, cupi, con possibili sviluppi futuri in più direzioni e tutta giocata su domande portanti che aprono a riflessioni sul senso dell’esistenza e sull’anelito alla perfezione (irraggiungibile): l’uomo è immune da cadute? Sappiamo perdonare e perdonarci? E ancora: l’amore assoluto fra uomo e donna esiste o tutto è relativo? E fra uomo e Dio? L’amore da cui prende il titolo il romanzo è una bellissima frase di Sant’Agostino. «È tratta da un suo sermone e a lui serve per dimostrare l’esistenza di Dio. L’amore non si vede, così come Dio non si vede, ma se ne vedono gli effetti nel mondo. L’amore è nei visi di due innamorati. Sant’Agostino aggiunge, nella sua concezione neoplatonica, che anche nell’amore più peccaminoso, più sordido, c’è comunque un riflesso dell’amore di Dio», spiega l’autore. «Il giallo puro finisce con la scoperta dell’assassino. Nel mio libro il colpo di scena è poco dopo la metà: lì finisce il giallo, ma la storia continua ancora perché si vuole parlare dell’esistenza dell’uomo, della sua caducità, della sua necessità di sentirsi imperfetto e di affidarsi a qualcosa di superiore, del perdono. E della ricerca della perfezione, che in qualche caso porta a disumanizzare. L’idea mi è venuta da una persona che ho reincontrato dopo tanti anni e mi ha raccontato di aver avuto un primo marito narcisista patologico. Ho preso degli spunti, anche se il libro non è ispirato alla vita di questa donna».
Cos’è l’amore per mister P? «La bellezza dei romanzi è che si può scrivere di alcuni personaggi senza caricarsene la responsabilità. Il suo è un amore travolgente perché adolescenziale nonostante l’età matura, ma senza sbocchi al di là dell’amore stesso. Potremmo definirlo egoistico, anche se l’uomo, come dice a Silvia, rifiuta questo termine perché l’egoismo è singolare, invece lui ha amato moltissimo Federica. P è pieno di certezze e quando non se lo aspetta si ritrova in una grande caduta. Il suo, però, non è un narcisismo patologico, che è una sindrome, e che lui attribuisce a Federica. Lui al contrario è un empatico che in qualche modo è molto pieno di sé, un opportunista patologico. Quanto a Silvia, ha sempre avuto un rapporto difficile con la sorella. La parabola di Gesù del Figliol prodigo, richiamata all’inizio del libro, le calza a pennello: in genere i genitori danno più attenzione al figlio scapestrato rispetto a quello che si comporta bene, creando così dei problemi fra di loro. Quanto la riprovazione per la sorella defunta sia dovuta a etica di correzione fraterna o all’invidia per la bella vita che conduceva non lo sappiamo».
L’amore imperfetto coinvolge un po’ tutti nella storia: ognuno ha il suo con cui fare i conti. «Sono dei personaggi che vivono tra grandi ideali e aspirazioni e poi fanno fatica perché la vita è complicata, perché c’è il senso del peccato nel mondo. Volevo disegnare un romanzo in cui alla fine nessuno è veramente colpevole perché c’è sempre qualcosa che lo scusa, ma neanche veramente innocente».
Sappiamo perdonare e perdonarci? «Non sempre. E la parabola del Figliol prodigo sta lì a insegnarcelo. Il centro, secondo me, non sono né il figliol prodigo né il padre, ma il fratello che non ha la stessa forza del padre di perdonare. È una parabola difficile che mi ha fatto capire, crescendo, la forza salvifica del perdono. Se non perdoni gli altri non puoi perdonare te stesso. Chi perdona se stesso e non gli altri è il vero narcisista».
E un thriller ambientato al Quirinale? Ride. «Chissà, ma prima devo finire il mandato».