Mariuccia Teroni è founder e presidente di FacilityLive piattaforma per la gestione, la ricerca e il trattamento delle informazioni che ha ottenuto brevetti in 46 Paesi. La sua formazione professionale avviene in due ambiti significativi. «Quello tecnologico digitale perché ho avuto la fortuna a 24 anni di cominciare a lavorare in questo mondo proprio quando in America iniziava la rivoluzione digitale: la conosco e ci sono dentro da oltre trent'anni. L'altro è quello editoriale perché per 15 anni ho fatto da trait d'union di tutti i processi e le metodologie di un mondo analogico in un nuovo formato (quello digitale). Così insieme a Gianpiero Lotito co-founder di FacilityLive abbiamo fatto un'esperienza irripetibile perché quella categoria di professionisti, quelli che sapevano gestire e dominare le informazioni, permettere di trovarle e trovarle, oggi anagraficamente non c'è più. La rete oggi è un mare magnum di informazioni. Chi entra in rete inizia un lavoro e non sempre ha i risultati auspicati perché molto spesso ci perdiamo in questo mare di informazioni, non troviamo più la strada a ritroso. Con Gianpiero - quando ancora nessuno poteva accorgersene – abbiamo iniziato a capire che sarebbe arrivato un momento in cui accedere alle informazioni sarebbe stato difficile e abbiamo deciso di mettere a disposizione tutta la nostra competenza. Ecco allora che nasce FacilityLive (il logo è la mia calligrafia scannerizzata): con cui cerchiamo di migliorare e rendere efficace l'accesso alle informazioni».
È necessario capire ora più che mai con milioni di ragazzi in Dad e altrettanti adulti in smartworking che il digitale non è il futuro.
«Per me il digitale è un ambiente familiare, però, mi sono resa conto che la gente l'ha sempre considerato una cosa molto distante. Prima il digitale veniva visto o come attività ludica dei figli o come necessaria legata al lavoro. Mentre chi era un po' più grande di età e non l'ha mai incrociato per mestiere l'ha sempre guardato con diffidenza. Poi cosa succede? Lo scorso anno proprio in questi giorni viene tutto chiuso. C'è il lockdown totale che ci costringe a conoscere ciò che si temeva. A un certo punto ci siamo accorti che il digitale così malvagio non era, ci permetteva di dare continuità al nostro vivere quotidiano. Di fare la spesa, per esempio; di lavorare in modo nuovo con lo smartworking che rimarrà anche dopo anche per favorire una visione più ecologica del mondo».
E sulla scuola che impatto ha avuto?
«Abbiamo potuto far studiare i nostri figli con la Dad. Ci siamo accorti che stiamo usando la tecnologia in modo inconsapevole perché il digitale ci ha permesso di reinventare e usare in modo diverso il tempo e lo spazio aprendo infinite possibilità. Per esempio, accorciando le distanze. Siamo stati travolti nostro malgrado da un cambiamento, la cui caratteristica è stata la drammatica velocità. Velocità che ha bisogno di una cosa: imparare la cultura di questo nuovo mondo e di questi nuovi strumenti. Imparare la cultura digitale perché fare smartworking non è solo lavorare da casa, la Dad non è solo far scuola da casa. È necessario ripensare i processi, i modi di prima vanno rivisti sotto una nuova lente».
Il digitale è una cultura, non solo una tecnologia.
«Con un'enorme potenzialità. Torno alla Dad: pensiamo alla capacità che ha, se ben utilizzata, di accedere a contenuti didattici altrimenti irraggiungibili e arrivare là dove prima era impossibile. Ora è la scuola che viene da me, anche se io non posso andare a scuola. Immaginate il mondo prima di internet e dopo internet: prima se volevi un'informazione dovevi andare a prenderla dov'era residente. Dovevi affrontare un viaggio, tornavi indietro con l'informazione magari sotto forma di fotocopia e se la perdevi dovevi rifare il viaggio. Con internet sono le informazioni che vengono da te: solo che sono molte e le devi organizzare».
Mariuccia Teroni, founder e presidente di FacilityLive
Come si fa a evitare di cadere nella rete?
«È sempre una questione di cultura: la cultura digitale andrebbe insegnata nelle scuole. Come l'educazione civica».
Nel 2013 stavate per portare l'azienda in Silicon Valley, ma poi avete deciso di rimanere a Pavia e di investire in Europa. Una scelta controcorrente che vi fa onore...
«Soprattutto perché allora tutti andavano a cercare fortuna là, ora le cose sono cambiate. Ho iniziato molto presto a fare un mestiere che non sapevo quale fosse, l'innovatrice. Una delle caratteristiche degli innovatori è di essere sensibili ai segnali deboli. Stavamo costruendo una big technology e avevamo già ottenuto i brevetti della nostra tecnologia in 39 Paesi del mondo. Andare nella Silicon Valley era coronare un sogno. Dicemmo di no per due motivi: avevamo segnali deboli dall'Europa che non poteva rimanere neutrale tra le due grandi potenze, asiatica e americana. Anche l'Europa avrebbe dovuto avere i suoi campioni tecnologici. E, due, avevo avuto la fortuna di potermi affacciare al mondo del lavoro negli anni 80, anni ricchi di opportunità. Allora io e Gianpiero abbiamo deciso di restituire ai giovani quell'opportunità che era stata data a noi e di restare a Pavia. Seppur consapevoli che qui sarebbe stata un'avventura più difficile abbiamo scommesso. E lo rifarei tutta la vita».
Lei è una donna imprenditrice, l'ha mai sentita su di sé la differenza di genere?
«Mai, nonostante io abbia sempre lavorato in ambienti maschili; la difficoltà non è mai stata il genere, semmai la giovane età da cui raccontavo le novità. L'amore per il proprio lavoro, il talento, la riuscita non hanno genere né età né origini geografiche. È il valore che la persona può esprimere e la diversità è un valore. Io quando ho un problema in FacilityLive metto al tavolo un matematico e un filosofo perché entrambi usano la logica, ma in maniera diversa: insieme generano un cortocircuito».
Quante donne lavorano nella sua azienda?
«In FacilityLive la presenza femminile è il 41percento. Ma io cerco la competenza non il genere; tante di loro hanno ruoli apicali. La mia deputy è una ragazza di 30 anni e presiede al mio posto un team di più di 50 persone. Le ho detto “Camminerò vicino a te, ma voglio che questo ruolo sia tuo”. Sotto i 30 anni ho tante persone con responsabilità importanti. Sotto i 35 tantissime. Quel che conta è individuare la propria vocazione. Del resto io a 24 anni ho sovvertito il disegno di famiglia: Economia e Commercio fatta per lavorare in banca. Ho chiesto a mio padre fiducia e lui me l'ha data. Perché non lo devo fare io con i più giovani? È un testimone da passare così inneschi il buono e il bello che le persone possono fare».
Per le donne mamme che lavorano per lei ha delle attenzioni in termini di conciliazione famiglia-lavoro?
«Certo che ho attenzione; io benedico tutti i fiocchi azzurri e rosa che arrivano perché è una famiglia che si allarga. Io ho scelto nella mia vita di non sposarmi e di non avere figli non so se per egoismo o per generosità, ma amo i bambini e le mamme. Sono sempre sorpresa dal rapporto che si crea tra loro. I fiocchi danno continuità: mi piace pensare che un domani questi bambini potranno fare un colloquio da noi. Ma ho anche altre attenzioni che rivolgo a tutti: in FacilityLive ho abolito il termine dipendente perché nessuno debba dipendere per sempre da qualcuno o da qualcosa. Dipendente vuol dire mortificare la tua creatività, metterti una zavorra ai piedi. Un giorno di molti anni fa dissi agli allora dipendenti: “io esisto qui perché ci siete voi. A questo punto chi dipende da chi?”. Infine, ho inserito la regola delle tre ore: io ritengo che, poiché il lavoro occupa la maggior parte del nostro tempo e ne influenza la qualità, oltre all'umore e alle relazioni deve essere una delle componenti della nostra vita e ci deve essere un buon bilanciamento. Il lavoro col digitale ti segue ovunque: così ho introdotto tra i benefit tre ore ogni giorno dell'anno da usarle senza che questo tempo venga detratto dal monte ore dei permessi maturati. L'idea di fondo è: non stare a misurare le ore. Quando ne hai bisogno le prendi, quando le hai le dai in un rapporto di fiducia. Dobbiamo abituarci a una nuova cultura del lavoro».
Le donne manager secondo il Rapporto Donne Manageritalia 2020 sono in aumento: +49percento rispetto al 2018 e il 32% è tra le under 35. Come commenta questo dato?
«Perfetto! Dico che è un ottimo risultato. È musica, fuori dalle guerre di genere perché noi non dobbiamo pensare di fare gli uomini. Siamo belle nella forza e nella nostra fragilità. Siamo diverse, punto».
Dall'altra, però, da inizio anno muore una donna ogni 4 giorni.
«Non ci sono parole per definire atti imperdonabili come quelli compiuti da chi usa violenza; ma è imperdonabile anche quando si ritiene che una cosa non ci riguarda perché la riteniamo distante da noi o perché non siamo donne. Anche qui, è un fatto culturale. Abituiamoci ad ampliare culturalmente le vedute e impariamo di più ad amare, ad accettarci e ad accettare».
Oggi ricorre la festa delle donne: cosa augura loro?
«Noi donne dobbiamo sempre essere orgogliose di quello che siamo: sia che siamo madri, figlie, casalinghe, artiste o top manager: non è il ruolo che cambia chi siamo, ma la consapevolezze di chi siamo».