Adesso è più chiaro
quello che pensa, fa e farà un Papa che ha scelto di chiamarsi
Francesco. Il discorso davanti ai padri sinodali di sabato 17 ottobre
contiene il programma sulla Chiesa del prossimo futuro, che non solo
è invitata a riscrivere le priorità pastorali, come Bergoglio
dall’inizio del pontificato va dicendo, ma anche è invitata a
rinnovare se stessa. Il Papa sta dando forma sempre più completa
alla Evangelii gaudium, testo chiave del pontificato, summa del
pensiero del Papa argentino.
I punti chiave sono la sinodalità (il camminare insieme) e la
conversione del papato. Attenti: il Papa parla di “conversione” e non
di “riforma” del papato. E’ il cuore della visione di
Bergoglio. Conversione significa leggere tutto, quindi anche il
potere dell’esercizio petrino, alla luce dei criteri del Vangelo.
Significa avere fiducia nel fatto che ogni cristiano, anche il Papa
che è un battezzato come gli altri, e ogni comunità cristiana è in
grado di fare discernimento e che il Papa non deve decidere tutto, ma
piuttosto deve indicare dei criteri, individuati insieme ai vescovi.
Bergoglio ha dimostrato di nuovo che non si sente né
privilegiato, né prigioniero dall’esercizio del potere petrino.
Non teme di cambiare, né si lascia strumentalizzare., assuefare o
assorbire da chi gli fa osservare che si è sempre fatto così. Lui
ascolta, osserva e poi spiega che da oggi si fa in un altro modo. E’
questo il senso del discorso in occasione dei 50 anni
dell’istituzione del Sinodo. Vale per tutto e vale anche per il
Sinodo. L’intuizione di Paolo VI sulla collegialità del Sinodo è
stata via via disinnescata, ridotta, corretta. Vi sono stati sinodi i
cui documenti finali erano scritti ancor prima di iniziare. Bergoglio
ha dato nuovo valore alla discussione, non si è mai preoccupato
delle critiche, anzi ha fatto sapere giorni fa di essere molto
contento del dibattito, nonostante avesse individuato alcuni rischi
di "ermeneutica conflittuale", nonostante qualcuno cercasse
fraternamente il duello più che il dibattito.
Ma la sua non è una
rivoluzione solitaria. E’ soltanto la più pura applicazione di
quanto ha stabilito il Concilio. L’agenda di papa Francesco non è
quella di uno scriteriato. Quando parla di “sana
decentralizzazione” significa che vuole una Chiesa più vicina al
popolo di Dio e non chiusa e protetta nei sacri palazzi romani,
perché lui ha sperimentato che la Chiesa si arricchisce della fede
del popolo di Dio. Per questo che ha citato il Concilio quando dice
che il popolo di Dio non può sbagliarsi nel credere. Aveva già
scritto nella Evangelii gaudium che il popolo di Dio è santo, anzi
“infallibile in credendo”, che non si può separare la Chiesa che
insegna dalla Chiesa che impara. Adesso aggiunge che camminare
insieme è un concetto facile a parole, ma difficile da mettere in
pratica. Ha spiegato cosa vuole fare e lui e dove vuole collocare
Pietro: non sul podio più alto di tutti, ma sul gradino accanto ad
ognuno di noi. Il primato va al Vangelo non ad una persona.