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sabato 14 settembre 2024
 
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Papa Francesco in Messico, sfida al neoliberismo

18/02/2016  C'è una lettura sociale dell'ultimo viaggio di Francesco: Bergoglio ha chiesta con forza un cambio di passo nelle politiche economiche neoliberiste che fanno passare le merci, aprono i mercati, ma contemporaneamente impediscono il passaggio delle persone, che valgono di meno.

Molte delle cose dette dal Papa nel corso della missione messicana avevano un obiettivo preciso e cioè quello di dare una scossa all’intero continente americano. La Messa celebrata a Ciudad Juarez, l’inedita celebrazione transfrontaliera, non è stata solamente una denuncia simbolica dei muri  e della tragedia dei migranti morti a centinaia nel tentativo di varcare il confine del Rio Grande, ma anche una precisa e puntuale richiesta di cambio di passo nelle politiche economiche neoliberiste che fanno passare le merci, aprono i mercati, ma contemporaneamente impediscono il passaggio delle persone, che valgono di meno. Andando a celebrare quella Messa sul confine Bergoglio ha voluto dire che va cambiata la geopolitica economica, quella inaugurata anni proprio in Messico con l’accordo di libero scambio delle merci, chiamato Nafta, una riproposizione di fatto in punta di economia della dottrina Monroe, la dottrina nord americana del “cortile di casa”.

A Ciudad Juarez ha incontrato gli imprenditori e i lavoratori e ha detto con chiarezza che “il flusso dei capitali non può determinare il flusso e la vita delle persone”. Il Papa argentino ha dimostrato nel corso del viaggio di essere molto preoccupato della situazione dell’intera America Latina, di cui il Messico è una sorta di microcosmo che vale per il tutto. Ha insistito più volte sul contrasto alla “rassegnazione” e ha sottolineato in diversi discorsi che non c’è un “sistema inamovibile”. La sfida lanciata dai cartelli della droga, al potere corrotto e alle politiche economiche neoliberali, quelle dell’economia che uccide e che impone la cultura dello scarto, temi cari a Bergoglio, sono una critica pesantissima a quella “american way of life”, dove il successo dello sviluppo è legato e prodotto da un aumento contestuale della miseria, monito all’intera America latina.

Il subcontinente sta attraversando una crisi sia politica e che economica. L’economia brasiliana non tira più, il calo del prezzo del petrolio fa rivedere al ribasso la crescita di importanti Paesi come il Messico e il Venezuela. Eppure di fronte ad una crescita del Pil globale latinoamericano molto sotto le attese e con la recessione dietro l’angolo, non si notano cambiamenti della redistribuzione della ricchezza anzi si temono rafforzamenti delle politiche neoliberali. Le parole forti che il Papa ha usato in Messico, quando più volte ha parlato di “sfruttamento”, di scarsi investimenti in istruzione, di aumento della povertà, terreno favorevole alla criminalità e al narcotraffico, di persistenza della corruzione e di legalità volatile sono un’immagine drammatica, ma reale di quanto sta accadendo in America latina.

Anche la lettura della questione indigena proposta a San Cristobal de Las Casas non va rubricata solo tra le varie richieste di perdono, ma è stata una richiesta pressante di mettere finalmente al centro anche della vita politica 50 milioni di indios, il 30 per cento della popolazione in America centrale e latina oggi ai margini della vita sociale ed economica, che rappresentano una sorta di “biodiversità” vitale e indispensabile per ridare fiato alle asfittiche democrazie del continente. Dopo la fine delle dittature militari sono nate democrazie poco dinamiche e corrotte, un contrappunto di illusioni e delusioni. Oggi la diseguaglianza è in aumento e l’austerità a causa della crisi rischia di peggiorare le cose. In realtà la stratificazione sociale nei Paesi latino americani non si è discostata da quella del tempo coloniale. La divisione in classi resiste, è cambiato solo lo schema.

I grandi proprietari terrieri sono diventati grandi industriali e la fortuna agraria si è trasformata in capitali finanziari e immobiliari, con centinaia di miliardi di dollari nascosti nei paradisi fiscali all’estero. Solo per l’Argentina si parla di oltre 200 miliardi di dollari a fronte di 25 miliardi di dollari di riserve dello Stato. E’ un rapporto che dà la misura di come sia precisa e cruciale la denuncia del papa sulla sfruttamento delle persone a favore del capitale. Ma le democrazie latino-americane hanno anche altri problemi. C’è pochissima mobilità sociale, a causa degli scarsi investimenti in formazione e in istruzione. Così le classi hanno perimetri con porte chiuse a doppia mandata, i nuovi partiti sono strutture di marketing, il pensiero è scarso e le promesse strabilianti di cambiamento si dimostrano solitamente evanescenti, come sta accadendo nella nuova Argentina di Mauricio Macrì. La partecipazione popolare, infine, si limita solo al voto formale.

Quando il Papa ha chiesto di cambiare un “sistema inamovibile” si riferiva proprio a questo. E quando ha sottolineato l’impegno dei cristiani come cittadini intendeva indicare a tutti un cambio di passo sia sulla legalità, ma anche nell’impegno politico. In tutte le 32  nazioni del continente  la politica gode di bassissima popolarità e di ampia sfiducia. Il caso del Brasile è emblematico. I governo di Lula ha fatto uscire dalla povertà 25 milioni di brasiliani, utilizzando il sistema dei sussidi e dei sostegni, ma senza disturbare i più ricchi. In tutto il subcontinente 100 milioni di persone stanno meglio, ma la forbice tra ricchi e poveri non è sostanzialmente mutata: più ricchi e più poveri.

Il Messico è lo specchio di ciò che accade dappertutto tra il Rio Grande e la Terra del Fuoco.
Il problema principale sta nelle politiche fiscali, inamovibili, che favoriscono i ricchi e precipitano nella povertà i poveri. Le rendite delle imprese non  sono quasi mai tassate, i patrimoni nemmeno e le imposte sul reddito sono scarsamente progressive. Il risultato è che le tasse sono per due terzi sui consumi,  indotti da sapienti campagne e da una cultura perversa legata a modelli stranieri. Un milionario in America Latina paga il 25 per cento in meno di tasse di un operaio e di un impiegato, senza contare la corruzione che vale il 10 per cento del Pil del subcontinente, i capitali all’estero e una evasione fiscale tra le più elevate delle economie occidentali. Ecco perché Bergoglio in questi giorni ha scongiurato i giovani a non  lasciarsi incantare dal consumismo. E i giovani sotto i 27 anni sono la metà della popolazione messicana e poco meno nell’intero continente, con punte drammatiche in  Brasile dove il 20 per cento delle madri ha meno di 19 anni e pochissime opportunità. Nessuno negli ultimi anni aveva parlato così chiaro e con riferimenti precisi all’America latina come ha fatto Bergoglio in questi giorni.

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