Cara Giorgia, la dettagliata descrizione del suo problema mi fa ipotizzare la presenza di un’anginofobia, ossia la paura incontrollata che spinge a considerare l’ingestione di ogni alimento come una possibile causa di soffocamento.
Questa fobia porta a sviluppare veri e propri attacchi di panico durante i pasti, con la conseguente progressiva eliminazione di tutti quei cibi considerati pericolosi. Vengono solitamente tagliati pasta, carne, pesce e si giunge ad alimentarsi solo con puree, frullati e sostanze semi-liquide, assumendo un piano alimentare simile a quello dei neonati. L’esordio di questo disturbo solitamente si colloca nell’adolescenza e riguarda prevalentemente le donne. Dopo aver escluso la presenza di un disturbo della deglutizione o una iperriflessia faringea, che sono patologie di natura medica, è possibile evidenziare una causalità psicologica: l’anginofobico non teme la deglutizione in sé, ma le conseguenze che essa potrebbe comportare, cioè un possibile soffocamento. La clinica psicologica studia da diverso tempo queste possibili manifestazioni del comportamento umano e oggi, grazie alle evidenze scientifiche raggiunte attraverso la ricerca, spiega l’acquisizione di queste patologie attraverso le teorie dell’apprendimento.
La sua avversione, Giorgia, può essere spiegata attraverso la concettualizzazione bifattoriale della genesi e del mantenimento delle fobie delineata dallo psicologo statunitense Orval Hobart Mowrer negli anni ’60, in base alla quale si distingue una prima fase di apprendimento della fobia dovuta al fatto che un’esperienza, fino a quel momento neutra (l’atto del deglutire), viene associata a un’esperienza di pericolo (il presunto strozzamento), seguita da una fase di consolidamento della fobia stessa, caratterizzata dalla scelta di evitare la sensazione sgradevole prodotta dall’esperienza della deglutizione.
Lei ha imparato ad avere paura di soffocare ingoiando sostanze solide in seguito alle difficoltà avute durante l’assunzione della pillola antiemicranica e al conseguente evento emotivo sgradevole sperimentato. Successivamente ha imparato a ridurre tale vissuto sgradevole evitando la situazione fobica. La risposta di evitamento del cibo viene mantenuta perché ha l’effetto di ridurre significativamente la paura.
Dalla sua descrizione appare evidente che la paura di ingoiare fa parte del suo quadro generale. Una paura che la porta ad assumere solo cibi liquidi o semisolidi. Dalle sue parole risulta inoltre evidente il buon grado di consapevolezza rispetto al problema: lei sa che i suoi comportamenti sono disfunzionali, ma non riesce a rinunciarvi. Quanto detto andrà confermato all’interno di una valutazione psicodiagnostica e successivamente andrà avviato un percorso psicoterapico. La buona notizia, cara Giorgia è che il problema da lei descritto è curabile attraverso una psicoterapia preferibilmente cognitiva e comportamentale, poiché la ricerca ne ha ampiamente dimostrato l’efficacia rispetto alla cura delle fobie. Il terapeuta impiegherà come trattamento d’elezione la tecnica dell’esposizione graduale, per portare la paziente ad affrontare gradualmente situazioni ansiogene di intensità crescente. Attraverso queste tecniche, la persona è invitata a esporsi in modo sistematico e controllato alle situazioni che abitualmente evita, presentandole gli stimoli stessi sia in immaginazione sia in vivo, bloccando i comportamenti di evitamento e consentendogli di sperimentare l’innocuità dell’esperienza.
Lo scopo è quello di evocare l’ansia in una situazione controllata e promuovere l’abitudine allo stimolo, estinguendo reazioni negative e favorendo un miglioramento delle capacità di gestione.
Cara Giorgia, non attenda oltre a farsi aiutare. Riconoscere che, giunti a una tale condizione di sofferenza, è necessario rivolgersi a una cura psicologica rappresenta un prezioso atto di umiltà. E, come disse san Francesco di Paola, dove è l’umiltà sono tutte le virtù.