«Gesù è venuto per
stare vicino sia ai peccatori che ai perseguitati, quest'ultimi nel Vangelo
sono chiamati addirittura beati, felici. Non so in quale delle due condizioni si
trovi ora Massimo Bossetti. Se è nel peccato, allora auspico che si apra al
pentimento, se invece è un perseguitato, spero che sia paziente. In ogni caso,
nell'una o nell'altra situazione, sappia che il Signore ha scelto di stargli
vicino e personalmente mi auguro che senta vicino questa presenza». È l'appello
che don Claudio Dolcini lancia a Massimo Giuseppe Bossetti, in carcere da una
settimana a Bergamo con l'accusa di aver ucciso Yara Gambirasio.
Don Claudio è il parroco della famiglia Bossetti, conosce la moglie,
Marita Comi, i tre figli e la suocera, la signora Adalgisa, anziana e vedova da
dieci anni. È andato a trovarli anche in questi giorni. «Come stanno? Immagina di
riemergere da un incidente violentissimo e scoprire che sei ancora vivo»,
spiega don Claudio il quale non ha altro aggettivo per definire questa
famiglia: «normale». In particolare, prosegue, la signora Adalgisa, «è
incredula e sgomenta per quello che sta accadendo. È affranta, non riesce a
immaginare la conseguenze che tutto questo può avere soprattutto sui nipoti».
Don Claudio precisa che
Bossetti non era, come pure è stato detto, un praticante assiduo: «Si fanno spesso
troppe chiacchiere in questi casi. Vedevo spesso i suoi tre figli che partecipavano alla messa
e al catechismo, i genitori un po' di meno. Poi qui, nella comunità di Sotto il
Monte, che comprende anche una parte del territorio di Mapello, siamo diversi
sacerdoti e non conosciamo bene tutte le famiglie. Io, peraltro, sono parroco
da meno di un anno».
Pesa le parole, don Claudio. «Ora la tentazione è puntare
il dito contro qualcuno», aggiunge, «invece dobbiamo fare un'altra cosa:
riflettere sul mistero, concretissimo, del male. Tutti noi, tutti, abbiamo
dentro una parte negativa. E a volte si può manifestare in modo estremo. Forse
solo Dio può tenere sotto controllo la forza del demonio. Ora ho il compito di
sorreggere questa comunità. C'è grande sofferenza perché abbiamo scoperto che l’accusato
è uno di noi e perché ad un tratto tutti ci siamo riscoperti fragili».