(Foto Ansa)
Mentre la terra del Centro-Italia continua a tremare - alle 5,30 di stamattina tra Marche e Umbria è stata registrata una scossa di magnitudo 3 - seimila persone, in una notte illuminata dalla luce delle fiaccole, si sono raccolte all'Aquila, per ricordare le 309 vittime del terremoto del 6 aprile 2009, ma anche le persone scomparse sotto le macerie di altri terremoti e quelle uccise da altra tragedie in altre parti d'Italia.
La fiaccolata è arrivata in piazza Duomo prima della mezzanotte e mezza: qui si è svolta la lettura dei nomi di tutte le persone che hanno perso la vita la notte del 6 aprile di otto anni fa. E poi sono stati ricordate le vittime del sisma tra Marche, Lazio e Umbria, quelle del terremoto di San Giuliano di Puglia, in Molise, nel 2002 (nel crollo della scuola primaria morirono 27 bambini di prima elementare e una maestra), le vittime della Terra dei fuochi (rappresentate in corteo da una delegazione), quelle dell'amianto. In prima fila tanti striscioni: fra questi, "La ri-scossa dei terremotati", portato dalle delegazioni degli abitanti di Amatrice e Accumoli, paesi del Centro-Italia colpiti dall'ondata sismica più recente, un calvario di distruzione cominciato lo scorso 24 agosto.
Alla fiaccolata è seguita la messa nella chiesa di San Giuseppe Artigiano, celebrata dall'arcivescovo metropolita monsignor Giuseppe Petrocchi. «La morte non ha l'ultima parola», ha detto l'arcivescovo durante l'omelia, «questo non toglie il dolore, ma rende più sereni». E ha aggiunto: «Se il dolore non si ripiega su se stesso ma si apre al mistero della Pasqua e della resurrezione, porterà vita». Monsignor Petrocchi ha ricordato il terremoto tra Lazio, Marche e Umbria, la tragedia che ha messo in ginocchio «popolazioni sorelle, persone che conoscevo avendo fatto il parroco in quei paesi cancellati».
A otto anni dal terremoto, la ricostruzione a L'Aquila si presenta tra luci e ombre, tra segnali di speranza e di ripresa da un lato e insufficienza degli interventi e lentezza delle opere dall'altro. Alla ricostruzione edilizia deve corrispondere la rinascita e la ricostituzione del tessuto economico e sociale, che è stata rallentata dagli eventi sismici recenti: i terremoti che hanno colpito il Centro-Italia hanno avuto pesanti ripercussioni anche sull'Abruzzo (le province dell'Aquila e di Teramo), facendo ripiombare nel terrore gli abitanti.
Fra i lavori rimasti incompiuti all'Aquila, c'è palazzo Margherita, sede del Comune: i lavori non sono mai iniziati, nonostante il finanziamento già stanziato da anni. E poi la situazione di stallo di Paganica, la frazione più popolosa: a otto anni dal sisma solo sedici cantieri sono partiti e il centro storico è ancora dominato dalle macerie. Secondo le stime fatte dall'ufficio speciale per la ricostruzione dell'Aquila e da quello per la ricostruzione dei comuni del cratere, il completamento del Comune, centro storico e frazioni, è previsto per il 2020, quella di tutto il territorio comunale entro il 2022, quella dei 56 Comuni del cratere entro il 2025.
In occasione dell'ottavo anniversario del terremoto, a fornire un quadro della situazione di quella che era conosciuta come la "Regina degli Appennini" è il dossier di Legambiente Abruzzo "Visita guidata a L'Aquila. Vi raccontiamo la citta' a 8 anni dal sisma", che racconta la vita quotidiana della città abruzzese attraverso le testimonianze vive di alcuni abitanti, le difficoltà, le paure, le speranze di chi vive l'Aquila ogni giorno. Il dossier analizza poi i dati, a partire dalla situazione delle scuole - con migliaia di bambini che ancora hanno le loro classi nei container provvisori post-sisma -, il Piano case e la difficile prospettiva per l'università, che nel 2015-2016 ha subìto un calo di immatricolazione del 72% rispetto all'anno accademico 2008-2009.
E intanto sul territorio aquilano continua a incombere l'incubo che oggi accomuna questa zona d'Abruzzo al resto del Centro-Italia terremotato: lo spopolamento, il rischio che chi se ne è andato otto anni fa, magari verso la costa, non torni più e che chi è restato prima o poi si arrenda e abbandoni questi luoghi feriti, condannando borghi e comunità alla definitiva scomparsa.