«Il ricordo», scriveva Giovanni Arpino, «comincia con la cicatrice». Un altro modo di dire che finché le ferite restano aperte c’è spazio soltanto per il dolore. Letta in questa chiave la demolizione avvenuta della casa dello studente a L’Aquila ha un significato simbolico che va oltre il rischio derivante dalle strutture pericolanti: la memoria, il ricordo, per quanto senza pace, può diventare tale solo mettendo fine alla curiosità morbosa dei turisti che scruta senza riguardo il dolore di chi non potrà mai dimenticare.
Fino a due anni fa il centro dell’Aquila era un orologio fermo alle 3.32 del 6 aprile 2009. Adesso, con la cassa aperta e gli ingranaggi esposti, l’orologio lentamente, faticosamente, inceppandosi sovente, ha ripreso a camminare. Sta indietro, un po’ si ferma un po’ sussulta, ma non è più congelato in quell’eterno attimo senza vita. I baschi degli alpini che presidiavano il centro storico hanno lasciato il posto ai caschi gialli di chi lavora al cantiere più grande d’Europa: non è ancora vita quotidiana, ce ne vorrà prima che lo diventi, dieci anni almeno dicono, e chissà come sarà dopo. Eppur si muove, in ritardo, ma si muove.
Se fino a non troppo tempo fa una passeggiata in centro all’Aquila, fin dove era concesso arrivare senza rischiare calcinacci in testa, era un’esperienza un po’ spaventosa, spettrale, oggi una faticosa normalità si sforza di farsi largo. La prefettura ha trovato casa in un palazzo ricostruito, non sta più parcheggiata nella caserma dei finanzieri a Coppito, da alcuni mesi locali e bar del centro cercano di riavviare la propria attività in centro storico, il venerdì e il sabato sera accolgono il passaggio degli studenti e la domenica pomeriggio la nostalgia degli aquilani diventati periferici, in questi anni, per necessità. Ancora pochissimo per parlare di una vera quotidianità, ma comunque meglio della desolazione di prima.
Sarebbe ingenuo però non ammettere che i tanti fondi statali sbloccati per la ricostruzione (oltre 10 milliardi in sei anni, e stanziamenti al ritmo di un miliardo l’anno per i prossimi otto anni) non siano un’opportunità che fa gola a chi sfarfalla attorno alle grandi opere con intenzioni non proprio nobili. Diverse inchieste aquilane l’hanno già evidenziato, da quelle che hanno portato al sequestro dei balconi costruiti con materiali scadenti e a rischio crollo, nelle new town della prima ora, a quelle che hanno scovato infiltrazioni camorristiche nei cantieri della ricostruzione. Il tema è sempre il solito: corruzione e dintorni, il male italiano che attraversa lo stivale e che vede scoppiare uno scandalo al giorno.
Fausto Cardella, dal 2012 a capo della procura della Repubblica, pure quella ancora in sede provvisoria, dal suo osservatorio che lo obbliga a pensar male per dovere istituzionale cita Ignazio Silone, che a proposito del terremoto di Avezzano, oggi città liberty ricostruita negli anni Venti, avvertiva: il terremoto è stato una tragedia, ora il problema è la ricostruzione. «Non solo perché» spiega Cardella, «più lunga è più rinnova il dolore degli aquilani, ma anche perché sarebbe miope non ammettere che, con la corruzione che dilaga e con gli appalti che si spartiscono, in Italia al momento Expo e L’Aquila sono due grandi opportunità tanto quanto sono due enormi fattori di rischio. Soltanto che l’Expo vede arrivare la fine dei lavori e, invece, L’Aquila è alle prime battute di vita del cantiere più grande d’Europa».
E il lavoro di una Procura della Repubblica, per quanto sensibili siano le sue antenne, è destinato ad arrivare dopo, a reati commessi, la prevenzione spetta ad altri. «Uno dei fattori di rischio principali viene dal fatto che quando c’è - com’è accaduto qui e va dato atto delle difficoltà oggettive evidenti - un’intera città sfollata, bisogna fare in fretta e quando si fa in fretta spesso si fa in deroga, saltando i poveri controlli previsti». Ed è lì, come ha sottolineato anche Libera, che si annidano i rischi maggiori di corruzione e di infiltrazioni di criminalità organizzata.
Se nel settore pubblico i prefetti hanno facoltà di controllo preventivo e le norme danno ai magistrati strumenti di repressione più o meno efficaci ma comunque presenti, a preoccupare il procuratore è la jungla della ricostruzione privata: «Nel vuoto normativo c’è uno spazio senza regole: eppure è lì, che durante l’attività di indagine, abbiamo riscontrato i problemi principali, compresa l’infiltrazione dei Casalesi. Se nel settore pubblico un funzionario accetta un regalo in cambio dell’orientamento dei lavori in una certa direzione noi parliamo di corruzione o di concussione, e abbiamo strumenti per far partire la macchina repressiva, farraginosa quanto si vuole, ma comunque presente. Se lo accetta un privato, invece, non abbiamo strumenti legislativi per colpirlo, anche se i soldi che maneggia sono pubblici e magari ne trae vantaggi personali. L'unico spazio di intervento può venire dal fatto che un amministratore di condominio - quando paga prestazioni con soldi pubblici, milioni a volte - può considerarsi incaricato di pubblico servizio, ma ci siamo arrivati ragionando per via interpretativa, al momento la nostra interpretazione è stata confermata dai primi giudici che l’hanno vagliata (riesame e Gip). Noi crediamo che regga anche al vaglio dei gradi di giudizio, ma dobbiamo attenderli per esserne certi. Una legge specifica, in merito, sarebbe di grande aiuto, per un diritto più certo ma anche per una maggiore trasparenza in materia di appalti e subappalti. Un testo di legge ci sarebbe anche già, a firma del senatore Legnini, prima che diventasse vicepresidente del Csm, ma giace nei meandri del Parlamento».
Eppure la fetta più grande di soldi pubblici arrivati o destinati a L’Aquila per ripartire passerà per la ricostruzione privata: miliardi di euro, mica bruscolini.