Non si placa il boia in Arabia Saudita. Nella monarchia islamica ultraconservatrice il 2016 si apre con l'annuncio dell'esecuzione di quarantasette persone, colpevoli, secondo le autorità saudite, di aver progettato e compiuto attentati terroristici contro civili. Fra i giustiziati c'è anche un popolare e influente leader religioso sciita, lo sceicco Nimr al-Nimr, arrestato nel 2012 con l'accusa di aver avuto un ruolo da protagonista nel movimento di protesta contro il Governo saudita nelle province orientali del Paese, dove è concentrata la minoranza sciita, marginalizzata dalla maggioranza sunnita.
L'uccisione dello sceicco al-Nimr riapre la tensione tra Arabia Saudita, a maggioranza sunnita, e l'Iran, a maggioranza sciita (da solo ospita quasi il 50% della popolazione sciita di tutto il mondo). La reazione iraniana è stata durissima: il ministro degli Esteri iraniano ha fatto sapere che questa esecuzione «costerà cara» all'Arabia. Ferma condanna anche da parte dal mondo islamico sciita del Libano e dello Yemen. Il rischio, ora, è che questa condanna a morte scateni nel mondo arabo un nuovo conflitto fra le due correnti dell'islam, il sunnismo maggioritario (che comprende quasi il 90% dei musulmani) e lo sciismo minoritario (circa il 10%).
Contro le esecuzioni a nulla sono valsi gli appelli delle organizzazioni per i diritti umani. Secondo i dati di Amnesty International, nel 2015 il boia saudita ha compiuto 157 condanne a morte. La pena capitale in questo Paese è prevista per numerosi reati, dall'omicidio alla rapina a mano armata, dall'adulterio all'omosessualità, dal traffico di droga all'apostasia. Il record delle condanne a morte è stato toccato nel 1995, con 191 uccisioni. Le organizzazioni umanitarie denunciano l'assenza di garanzie processuali per i condannati. Dopo Cina e Iran, l'Arabia Saudita è il terzo Paese al mondo per l'applicazione della pena di morte.
Nella foto Reuters: un'immagine dello sceicco sciita Nimr al-Nimr.