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sabato 05 ottobre 2024
 
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L'architetto della Democrazia

19/08/2024  A 70 anni dalla sua scomparsa, Alcide De Gasperi è ricordato come uno dei principali artefici della democrazia italiana e della ricostruzione post-bellica. Presidente del Consiglio dal 1945 al 1953, De Gasperi ha guidato l'Italia nel delicato passaggio verso la stabilità democratica, opponendosi tanto al fascismo quanto al comunismo, con una visione europea e una forte fede cristiana. Politico pragmatico, è stato determinante nel garantire la continuità democratica del paese nonostante le difficoltà del Dopoguerra (di Andrea Riccardi)

Sono 70 anni dalla morte di Alcide De Gasperi nel Trentino natale. Presidente del Consiglio fino all’agosto 1953, era in quel ruolo dal dicembre 1945, poco dopo la fine della guerra. Sono anni in cui si forgia la democrazia italiana. Niente era scontato alla fine della guerra. De Gasperi è uno dei padri o forse il più autorevole padre della Repubblica. È il presidente della ricostruzione di un Paese distrutto dalla guerra, ma anche il politico che dà solidità alle istituzioni democratiche, mentre una parte importante degli italiani (nonostante le amarezze della guerra) restava segnata dal fascismo o dall’educazione imposta dal regime alle giovani generazioni. Nel mondo della guerra fredda, De Gasperi si misurò con il più grande partito comunista occidentale, fondato sul voto libero e non sulla coercizione sovietica. La collaborazione governativa con Pci e Psi si interrompe nel maggio 1947 per dar luogo a successivi Governi in cui non ci fu mai la presenza socialcomunista. In un quadro difficile, De Gasperi non vuole una Dc anticomunista alleata con le destre. La sua formula governativa è il centrismo assieme ai partiti laici. Nel 1952, alle elezioni del Comune di Roma, nonostante le pressioni di Pio XII, rifiuta l’alleanza con missini e monarchici in chiave anticomunista. E vince le elezioni. De Gasperi è un politico anomalo in Italia.

Visse per ben 37 anni nel Trentino degli Asburgo, più di metà della vita. C’è un parallelismo con un altro grande europeista, il francese Robert Schuman, lorenese, nato in Lussemburgo e cittadino tedesco fino al 1918, madrelingua tedesco. Gente di frontiera, Schuman e De Gasperi, ma tutt’altro che di periferia, hanno una conoscenza dell’Europa che, in buona parte, sfugge ai loro contemporanei. Il giovane politico trentino aveva parlato con Francesco Giuseppe, aveva dibattuto con Mussolini a Trento, si era confrontato con Cesare Battisti, aveva partecipato al congresso dei cattolici bavaresi, aveva visto l’ascesa e la fine di quel sindaco viennese, Lueger, importante per il cattolicesimo sociale quanto pericoloso per il suo populismo e antisemitismo, aveva familiarità con la rinascita delle nazionalità slave nei Balcani: era una personalità dal respiro europeo.

Durante la Prima guerra mondiale, aveva conosciuto l’orrore del conflitto e la forza delle passioni nazionali. Aveva visto crollare le costruzioni imperiali, come quella degli Asburgo, ma credeva che il futuro nazionale degli Stati europei andasse pensato nel quadro dell’unità del continente. Era un grande cristiano, che coltivava la sua vita interiore. Uomo di fede e di ideali, era anche un politico pragmatico: «Un amico con cui è possibile fare un compromesso senza rinunciare a una ragione di vita», lo definisce Einaudi. Dallo scoppio della Seconda guerra mondiale, era convinto che i cattolici dovessero giocare un ruolo decisivo nella politica italiana, come grande partito popolare di centro, riformista, appoggiato dalla Chiesa, senza cedere all’idea di un fronte anticomunista di centrodestra. Nei suoi anni italiani, aveva vissuto l’avvento del fascismo, la privazione della libertà e la soppressione dei partiti. Era convinto della fragilità della democrazia italiana e di come i cattolici e la Chiesa dovessero schierarsi a sostegno del sistema parlamentare. Nonostante la breve durata dei suoi Governi, l’Italia di De Gasperi ha goduto di una stabilità che ha cambiato in profondità il Paese.

 
 
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