Scomparso il 29 settembre del 2009, Filippo Ambrosoli avrebbe compiuto cinquant’anni il 15 febbraio. Architetto e artista, era il secondogenito dell'avvocato Giorgio Ambrosoli, l’eroe borghese, liquidatore ella Banca Privata Italiana, assassinato l’11 luglio del 1979 da un sicario di Michele Sindona.
Un'esistenza in salita per Filippo, orfano a soli dieci anni, l’anno dopo la morte del padre si ammalò di linfoma di Hodgkin. Affrontò pesanti terapie che lo guarirono ma ebbero come conseguenza la sua scomparsa a soli quarant’anni per un arresto cardiaco. In mezzo a questi due terribili eventi c’è tutta la sua forza e la sua voglia di vivere che espresse nel tempo attraverso talento e passione per l’arte. Il liceo artistico e la laurea in architettura con specializzazione in restauro gli insegnarono la tecnica. Il resto lo aveva dentro di sé.
Subito dopo la sua morte la sorella maggiore Francesca (51 anni) decise di omaggiarlo organizzando mostre e devolvendo il ricavato delle sue opere alla Lilt (Lega italiana per la lotta contro i tumori). Lo scorso 15 febbraio, in occasione del suo compleanno (avrebbe compiuto 50 anni), una nuova esposizione presso G-lab (in via Giannone 4 a Milano fino al 6 marzo) pensata da Francesca con una novità: «poiché gran parte delle sue creazioni sono state vendute, quest’anno ho pensato di ricordarlo chiedendo ad alcune amiche di prendere spunto dalle opere di Filippo per creare altre opere. Una sorta di laboratorio artistico. Mi è sembrata una bella idea continuare a far vivere la sua arte attraverso le mani degli altri. In tanti si sono prestati. Il risultato è stato davvero emozionante. E così oltre alle classiche incisioni ancora in nostro possesso, da lui prodotte e firmate, al G-lab esponiamo e vendiamo acquarelli di Anna Mino, un quadro astratto dell’amica d’infanzia Antonella Vitali intitolato “Al di là”, cuscini, runner, canovacci e carta da parati con i suoi disegni riprodotti su stoffa da Roberta Canepa e Roberta Spadoni e molti oggetti per la casa come foglie/sottopiatti in metalli vari, lampade e separé con foglie di ginko-biloba o applique in ferro o ottone … tutto fatto secondo il suo stile».
Come era la sua arte?
«Abbiamo trovato molte cose a casa sua dopo la morte. Opere che non conoscevamo. E che hanno raccontato molto di lui, aiutandoci ad amarlo ancora di più. Filippo lavorava in solitudine sperimentando varie tecniche. Illustrava fiabe e dipingeva acquarelli. La tecnica in cui eccelleva era l'incisione con cui raccontava ciò che vedeva descrivendo i particolari in modo preciso e poetico. Il sua “simbolo” era la foglia di ginko-biloba che ha riprodotto spesso su commissione. Ha fatto bellissime foto di Venezia, un luogo da noi molto amato, scattate col filtro dell’ironia, cioè fotografando i citofoni in modo che sembrassero dei volti. I suoi acquarelli erano giocosi e colorati, soprattutto quelli in cui riproduceva i buffet della mia mamma che si occupava di catering».
Il 15 febbraio oltre a essere il compleanno di Filippo è la Giornata mondiale dedicata all’Oncologia pediatrica…
«Anche questa coincidenza mi ha spinto ad organizzare la mostra. Volevamo raccogliere fondi a favore della ricerca per la pediatria oncologica e per le conseguenze che i farmaci tumorali possono causare. Frequentare, all’epoca della sua malattia, i reparti dove era ricoverato ha insegnato molto..., a Filippo prima di tutto, ma anche a me e a Umberto. Siamo venuti a contatto con vicende umane davvero toccanti. La sua mancanza ci fa pensare sempre a quei piccoli pazienti e mi è sembrato importante, attraverso il ricavato della vendita delle sue opere, poter aiutare i bambini malati».
Che ricordi ha di suo fratello?
«Con lui c’era un legame speciale. Avevamo solo tredici mesi di differenza. Era un fratello molto dolce, simpatico e attento. Ho un ricordo bellissimo di quando ero piccola con l’influenza. Lui mi metteva di buon umore e mi accudiva. Mi intratteneva divertendomi. Una qualità rara. Si è ritrovato poi lui stesso a fare i conti con l’importanza di alleggerire la malattia durante i lunghi ricoveri all’Istituto dei tumori. Lì, la presenza dei volontari che intrattengono i bambini e la presenza di medici che sanno mostrare un volto giocoso è fondamentale per chi affronta la malattia».