L'assedio di Alesia nel 52 a.C.
Sarà allora assedio totale di Gaza. “Ho ordinato di interrompere immediatamente la fornitura d'acqua da Israele a Gaza. Ieri sono stati interrotti l'elettricità e il carburante”, lo ha dichiarato il ministro dell'Energia israeliano, Israel Katz. E’ uno dei provvedimenti estremi decisi dal governo di Netanyahu per l’assedio totale di Gaza, l’indomani dell’attacco terroristico di Hamas. In molti hanno osservato che questa scelta può essere considerata un grave crimine di guerra. Il ministro ha replicato seccamente: “Ditelo a Yahya Sinwar (cioè il capo di Hamas, ndr)”.
La domanda, in realtà, non è peregrina e non possiamo non porcela. Nei ripetuti richiami delle Nazioni Unite ai belligeranti si ricorda l’obbligo, vigente anche in stato di guerra, di rispettare il diritto umanitario internazionale, a cominciare dalla protezione dei civili. Come dire: anche la guerra ha delle regole. E prendere per fame e per sete una popolazione civile che già soffre il dramma del conflitto è azione disumana, ingiustificabile.
Precedenti storici di assedi famosi in cui si sia usato l’arma del taglio dei viveri e dell’acqua agli assediati non mancano. In genere, dicono gli storici, queste misure allungano gli assedi stessi, e si adottano quando viene a mancare la forza armata per sfondare le difese ed entrare rapidamente in città. Tagliare i viveri all’assediato permette, poi, di risparmiare perdite militari da parte degli assalitori. Ma a che prezzo per le popolazioni attaccate? Si moriva d’inedia, invece che di spada. Crudeltà aggiunta a crudeltà.
Che gli assedi fossero tecnica bellica collaudata lo dimostra il fatto che gli antichi avevano già teorizzato una scienza dell’assedio: la “poliorcetica”, termine greco che significa appunto “espugnazione della città”, una specie di ramo dell’arte militare, che si sviluppò in età ellenistica con una specifica letteratura tecnica. Niente viene lasciato al caso, senza limiti alla barbarie: neanche la costruzione di macchine adatte al lancio di teste mozzate al di là delle mura nemiche per seminare il terrore.
Uno dei modi più usati per prendere una città era quella di circondarne le mura con opere di controvallazione; quindi l'assedio consisteva essenzialmente in un “blocco statico” totale: una lunga attesa del cedimento dell'equilibrio politico o dell'esaurimento delle scorte alimentari e idriche cittadine.
Nel 52 a.C. la presa di Alesia, città gallica dove s’era rifugiato Vercingetorige inseguito da Cesare, è stata certamente propiziata dalle scelte strategiche e le capacità ingegneristiche romane: tutto intorno alla città assediata fu edificata una serie di imponenti fortificazioni che impedirono al nemico di approvvigionarsi (di viveri ed anche di acqua, deviando gli stessi corsi dei fiumi) e di scappare. Ad un certo punto dell’assedio Vercingetorige decise di far uscire dalle mura le “bocche inutili”: anziani, donne e bambini, nella speranza di risparmiare cibo per le truppe, immaginando che Cesare li accogliesse nelle sue fortificazioni. Ma, come racconta Dione, ciò non accadde e morirono tutti di fame, nella “terra di nessuno” tra le mura di Alesia e le linee romane.
Quattro secoli dopo, dal 408 al 410, il re visigoto Alarico pose l'assedio alla città di Roma per tre volte, fino a quando non riuscì a saccheggiarla, dopo circa ottocento anni dal precedente sacco gallico del 390/386 a.C.. I Visigoti bloccarono prima tutte le vie d'accesso, compreso il Tevere e i rifornimenti dal porto di Ostia. Le fonti storiche raccontano che la popolazione affamata fu costretta a cibarsi addirittura di gatti, topi e cani. Il resto lo fecero le epidemie di colera. Si citano anche alcuni episodi di cannibalismo. L'assedio, come sempre, colpì soprattutto le fasce più povere della popolazione. Fu probabilmente un gruppo di assediati, ridotti alla fame, che la notte del 24 agosto del 410 aprì la Porta Salaria all’esercito barbaro.
Anche nei primi secoli del Medioevo gli assedi, per mancanza di mezzi, si riducevano a un semplice accerchiamento dell’area. A pagare, però, era sempre la popolazione inerme presa per fame o per sete. Per conquistare una città per inedia, solitamente si iniziavano le operazioni militari in estate, prima che i prodotti del nuovo raccolto fossero stati aggiunti alle scorte degli assedianti. Nello stesso periodo, inoltre, era più facile esaurire le scorte idriche e le piogge sono meno frequenti. In aree povere di corsi d’acqua e di pozzi l’operazione era ancor più letale.
Insomma l’assedio è, da sempre, un’operazione bellica crudele, che sacrifica gli indifesi civili, mietendo più vittime tra chi ha minori possibilità di resistere. Cosa può accadere se, poi, le forze in campo sono così sproporzionate come nel caso dell’assedio di Gaza? Non è in dubbio chi vincerà, né chi soccomberà. Solo l'entità della distruzione.
Suonano in questo caso da monito per tutti le parole che pronunciò il nunzio apostolico a Damasco, cardinal Mario Zenari, nel 2016 nel pieno del conflitto siriano, rimanendo accanto alla sua gente sotto le bombe. Riferendosi alle località sotto assedio come Madaya, Foah e Kefraya e al campo profughi di Yarmouk, alle porte di Damasco, diceva: “Usare la fame, e io aggiungo la sete, come arma di guerra è un crimine, una vergogna, e mi meraviglio che i media internazionali ne parlino solo ora. Vi sono realtà in cui la gente da oltre un anno muore di fame, mentre alle porte di villaggi e città vi sono camion carichi di cibo, latte, medicine. Bisogna eliminare alla radice il conflitto”.