«L’unica migrazione della mia vita? Dalla casa d’infanzia all’attuale, da Uopini a Castellina, entrambe frazioni di Monteriggioni: ben 11 chilometri!», dice con accento toscano Monnalisa Ndoja, 19 anni, ultimo anno di liceo biologico con il sogno di studiare medicina. «Mi sento italiana? Certo, questa domanda mi fa quasi ridere! Senza rinnegare nulla delle mie origini, sono sempre vissuta in Italia». Eppure, il Ministero dell'Interno continua a considerarla «una cittadina albanese per diritto di sangue». Lei che in Albania, paese di origine dei suoi genitori, c'è stata una sola volta, in vacanza, ma si è accorta del suo “sangue” quando, dovendo andare in gita scolastica Berlino, le è stato detto che la sua carta di identità non valeva per l’espatrio, a differenza di quella dei suoi compagni.
Monnalisa è nata in provincia di Siena da genitori con regolare permesso di soggiorno («Il nome lo scelse mio padre, dal titolo di una canzone di Mango allora molto famosa»), ha frequentato in Italia asilo, elementari, medie e superiori. Ma quando ha spento le 18 candeline e ha presentato la domanda di cittadinanza, ha ricevuto un secco «no». Il motivo? Dalla nascita ai tre anni d’età, non risultava iscritta all'anagrafe, per l’errore di un funzionario. «Prima ancora che Monnalisa nascesse – racconta la madre Eliana – avevo tentato di chiedere la residenza, ma un impiegato si era rifiutato, sostenendo ingiustamente che il permesso per studio non lo consentiva». La ragazza non si è rassegnata: ha scritto all'allora ministro Cancellieri, ha presentato vari documenti (vaccinazioni, iscrizione sanitaria, esami medici, ricevute di affitto) che attestavano la sua presenza continuativa in Italia e ha coinvolto il sindaco del suo Comune nella battaglia. Ma il Ministero non demordeva: a inizio 2013, ha ribadito l'«insussistenza dei presupposti», che suona un po' come una parolaccia e ricorda l’arretratezza della nostra legge: la cittadinanza dei diciottenni nati e cresciuti in Italia non è un diritto, ma una concessione dello Stato. Che infatti, come in questo caso, può scegliere di non concederla.
La ragazza non si è arresa: con un po' di amarezza in bocca, insieme agli avvocati Giulia Perin e Carla Guerrini, ha depositato una causa al Tribunale di Siena. Nel frattempo, la sua vicenda mostrava un altro dei paradossi della legge sulla cittadinanza: i genitori e la sorella minore hanno ottenuto la cittadinanza. Monnalisa no, perché era diventata maggiorenne. Commenta la madre Eliana: «Era rimasta l’unica straniera di famiglia, proprio lei che è la più italiana di tutti noi!». Fino a una sentenza del 4 dicembre scorso, quando la ragazza ha ricevuto un sms dal suo avvocato: «Monnalisa è italiana!». I giudici hanno messo nero su bianco che «è in possesso dei requisiti per conseguire la cittadinanza italiana». Con un’aggiunta: il Comune di Monteriggioni, per avere seguito le indicazioni del Ministero, è stato condannato a pagare 2332,91 euro più iva di spese processuali.
«Già in passato c'erano state sentenze simili – spiega l'avvocato Perin dell’Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) – e la giurisprudenza aveva già aperto questa via. La novità è invece la condanna economica. In questo caso, abbiamo deciso di non chiedere le spese legali, perché il Comune è stato a fianco di Monnalisa nella sua battaglia e non riteniamo giusto che proprio l’ente locale debba pagare per un’inadempienza dello Stato». Senza il bel gesto degli avvocati, tuttavia, sarebbero stati soldi pubblici sprecati per la testardaggine del Ministero. E se ora seguissero una pioggia di ricorsi di ragazzi nella stessa situazione, come farebbero le casse dei Comuni, peraltro già messe a dura prova dai tagli? Monnalisa, intanto, si gode la vittoria: «Quando ho ricevuto la notizia, ero in seggiovia con gli amici. Loro mi hanno detto: “Siamo contenti, ma per noi non cambia niente, ti consideravamo già italiana”. Comunque, si è realizzato un sogno, è ufficiale: sono cittadina anch’io, posso votare, non devo più fare la fila per rinnovare il permesso di soggiorno». Poi aggiunge: «Mi sentivo una condannata per un reato che non ho commesso, per colpa di una legge ingiusta». Ecco, appunto, quella attuale è una legge anacronistica, che dice a ragazzi nati e cresciuti in Italia che sono “stranieri a casa loro”. Giovani come Monnalisa che, oltre a chiamarsi come il ritratto italiano più famoso al mondo, sono “qui da una vita” e parlano magari con lo stesso accento di Dante Alighieri.