Tokyo 2020 ha spento il braciere ma non si congederà da noi se non con l’ultima puntata del Circolo degli anelli, trasmissione olimpica kult di Rai 2. Twitter dà già segni di nostalgia preventiva, tanti spettatori appassionati al contenitore spontaneo e un tantino surreale da giorni si dichiarano preoccupati di restare orfani dei suoi autoironici personaggi uno su tutti Sara Simeoni, riscoperta in una veste inedita che neppure lei forse s’aspettava d’avere.
Vien da domandarsi che cosa sappiano i giovani twittatori che non erano nati di questa atleta straodinaria, che quando saltava tutti riconoscevano per strada come un’icona. Ma che non è mai stata una star, così spontanea, così naturale, così normale eppure così campionessa. Non era ovvio a quei tempi che una ragazza di provincia avesse occasione di fare sport, la prima passione era stata la danza classica, ma la scuola di balletto sconsigliò quella bimba filiforme e troppo lunga rispetto alle altre. L’atletica arrivò per caso, alle scuole medie con quelli che allora erano i giochi della gioventù: alla prima prova saltò 1,25 alla sua età era record italiano ma lei neppure lo sapeva. Un gioco. La famiglia, due sorelle, un fratello, di stanza a Rivoli Veronese pochi chilometri dal lago di Garda, lasciò fare. Vennero gli anni del liceo artistico, Sara continuava a saltare, senza pensare che fosse un lavoro.
Ma a 19 anni il gioco del salto si era fatto serio al punto da strappare la qualificazione alle olimpiadi: a Monaco 1972 la ragazza con la coda di cavallo sulla pedana olimpica saltò 1,85, sesto posto. A quel punto, racconta lei, ci si chiese come sarebbe andata facendo sul serio. Fare sul serio voleva dire convincere un suo compagno di squadra Erminio Azzaro, saltatore ventralista, schivo baffuto cilentano, sul punto di ritirarsi dall’agonismo a diventare il suo allenatore. Ovviamente continuando a studiare all’Isef le Scienze motorie di allora. Un raduno sul mar Nero era stato galeotto, Erminio e Sara si sentivano sulla stessa lunghezza d’onda anche fuori dalle pedane. L’alchimia che funzionava nella vita funzionò anche in pedana.
Era un lavoro da pionieri, Dick Fosbury aveva inventato il salto all’indietro appena quattro anni prima, c’era tutto da costruire. Ma i due avevano la testa dura. Fare sul serio voleva dire allora centro tecnico federale di Formia, centinaia di chilometri di treno di legno da casa, e l’atletica che diventava un lavoro. La ragazza era seria, non voleva deludere sé stessa e la famiglia - che con i salti dice lei non premeva ma si divertiva- né mancare di rispetto ai fratelli che andavano a lavorare. C’era tutta la filosofia della cultura veneta del lavoro: quando si lavora si fa sul serio, anche se è solo un gioco.
Quattro anni dopo a Montreal 1976 il sesto posto s’era tinto d’argento. E lì il mondo cominciò a capire chi era Sara Simeoni, una che da quando faceva sul serio non sbagliava una gara che contasse che era una. Il 4 agosto 1978 a Brescia durante un’amichevole con la Polonia in preparazione degli Europei di Praga vinse la gara e chiese il 2,01, la misura del primato del mondo: saltò. A filmarlo c’era solo un video amatore, uno smanettone d’altri tempi. I giornalisti erano tutti all’omologa gara maschile che si trovava in altra città. Per dire che cosa fossero lo sport e la cronaca dello sport femminile allora. Li cambiò entrambi Sara quel giorno.
A Praga andò favorita, la sua rivale di allora con il ventrale aveva saltato due metri e li rifece in gara, ma Sara non si scompose: 2,01 record del mondo di nuovo stavolta davanti a tutta Europa contro l'avversaria storica Rosemaria Ackermann della Ddr. Era seria Sara Simeoni, quasi seriosa – è ancora seria, una persona serissima ma autoironica il giusto da stare al gioco in Tv e nella vita - solo nell’esultanza aveva a volte il guizzo di follia e la lacrima facile che le abbiamo rivisto in queste inedite serate in Tv.
Ai Giochi olimpici che dovevano essere i suoi e di Mennea rischiò di non andare: il boicottaggio del blocco atlantico rischiò di fermarli. Lei e Pietro Mennea furono i primi a firmare un appello al Governo e al Coni: si raggiunse un compromesso, andare sotto l’egida del Coni, niente inno né bandiera in caso di vittoria. Andavano entrambi per vincere, il contorno era secondario. Dice che sia stata l’unica gara in cui ha avuto veramente paura, in cui l’ansia l’ha divorata, ma l’ha nascosta bene e ha vinto con 1,97 l'oro di Mosca 1980 cantandosi sul podio Viva l’Italia di De Gregori.
Altrettanto quattro anni dopo ha nascosto bene il dolore al tendine per il quale la davano per finita. Andò a Los Angeles con l’onore di portare la bandiera che a Mosca le era stata negata: sfilò in testa alla squadra nella cornice del Coliseum elegantissima in giacca azzurra e gonna a pieghe bianca, coccarda bianca, rossa e verde al collo: la divisa disegnata per gli azzurri da Valentino. Ma Sara non era tipo d’accontentarsi della sfilata, mancavano le atlete dell’est, ma la gara del salto in alto ebbe tasso tecnico altissimo: saltò 2 metri e non bastò per vincere, non ci credeva neanche lei. Al tentativo del 2,02 testa e cuore stavano già facendo le capriole. Si fermò all’argento fiera di dimostrare al mondo di essere ancora lì a volare a 2 metri a 31 anni. Felicissima abbracciò un fotografo che passava lì vicino. Sara ma lo conoscevi? No. Erminio sempre lì, a bordo pedana a fumare come un camino. In gara poteva solo guardare, non era consentito dar consigli allora.
Sara ha lasciato l’atletica nel 1986 lasciando molti più “orfani” di quanti ne lascerà stasera al termine del Circolo degli anelli. Erminio Azzaro ha portato all’altare la fidanzata d’Italia nel 1987, hanno un figlio di nome Roberto nato nel 1990 e sono ancora una coppia fantastica. Insieme hanno scritto la storia dello sport senza perdere la normalità e potrebbe essere difficile per chi non c’era capire quanto simbolo sia stata Sara Simeoni, che non mancava mai un appuntamento importante, in un tempo in cui lo sport viveva solo di risultati, riuscendo a far sembrare il suo stare in cima al mondo la cosa più naturale del mondo.