Nell’ottobre del 2014 si è tenuto
il Sinodo straordinario
sulla famiglia, mentre
il prossimo 4 ottobre si
aprirà il Sinodo generale
sul medesimo argomento.
Nel cammino di avvicinamento
a questa importante
occasione per la vita della Chiesa e
della società, è importante approfondire
le questioni a tema senza lasciarsi
conquistare dalle facili sempli
cazioni.
In questo caso ci aiuta nella riessione
padre José Granados, docente
di Teologia dogmatica del matrimonio
e della famiglia presso il Ponti
cio
Istituto Giovanni Paolo II.
Quali sono gli aspetti più problematici
che la famiglia è chiamata ad
affrontare oggi?
«Ciò che non regge più, in realtà, è
un modello borghese di capire e vivere
la famiglia che la pensa come un’opzione privata, che dipende solo dagli
sposi, che tende sempre di più a isolarsi
dalla società, dalle tradizioni del
passato e dai problemi per il futuro.
Ma questa non è la famiglia cristiana,
che è famiglia autentica perché situa
sempre i due coniugi dentro un orizzonte
più grande, in cui sono chiamati
ad arricchire la città degli uomini, a ricevere
un’eredità e trasmetterla ai
gli.
In questo i coniugi non sono mai soli,
perché vivono secondo un grande disegno
di Dio che dà senso al loro cammino.
Questa famiglia cristiana non è
incapace di vivere le s
de del domani.
Anzi, è l’unica risorsa per poter costruire
un futuro. È minacciata, ma non è
in crisi. Al contrario: nella famiglia
si trova il modo di uscire dalla grande
crisi della nostra società che è una
mancanza di stabilità. Nella famiglia
si dice la promessa “per sempre” che
rende stabile la vita. La crisi è mancanza
di futuro, mentre nella famiglia si
genera il futuro, poiché in essa si dona
la vita. E questo ci dà speranza davanti
a tanti attacchi che la famiglia soffre».
Perché si attacca la famiglia?
«Perché essa custodisce una visione
dell’uomo che poggia sui rapporti,
sull’amore, sul dono di sé. E questo non
si può capire in una società dell’uomo
individualista, radicalmente autonomo,
che fa da sé e vuole la sua “privacy”,
un modello – questo sì – che è entrato
davvero in crisi, perché non offre più
niente di nuovo per il futuro. La vera
soluzione davanti ai problemi della
famiglia invece è ridarle la coscienza
della sua dignità, del suo protagonismo
sociale ed ecclesiale».
La recente decisione di accelerare
le pratiche per il divorzio può mettere
in crisi il progetto dei giovani di
“farsi una famiglia”?
«Accelerare le pratiche del divorzio
signi
ca negare l’importanza del
tempo nella vita della famiglia. Dietro
il “divorzio express” c’è una visione
dell’amore legata all’istante presente.
Si tratta di una visione romantica, che
comprende l’amore solo come un’emozione:
“Oggi sono innamorato di te
e ti sposo, domani non più, e ti lascio”.
E se l’amore non c’è, perché restare insieme
un altro giorno? Ma l’amore, al
contrario, è fatto di tempo! Deve maturare,
deve crescere, rendersi forte,
rigenerarsi continuamente, perché
su di esso si possa edi
care la propria
vita e quella dei
gli, il ponte che unisce le generazioni, la società...
Sappiamo che l’amore è fatto di tempo
perché può dire “per sempre”, come
vogliono dire tutti gli innamorati.
Perché è capace di perdonare, che non
significa dimenticare, ma imparare a
ricordare in modo distinto, alla luce di
un amore che è più profondo e più potente
dell’offesa sofferta. Ecco perché
il perdono ha bisogno di pazienza, di
sforzo, di attesa...».
Se in un rapporto c’è un problema
la tentazione è di risolverlo subito…
«Il matrimonio, invece, nella sua
stabilità, come promessa che abbiamo
fatto davanti a Dio, ci ricorda che
nel nostro amore c’è una verità più
grande che ci permette di dare credito
all’amore: quanti problemi si risolvono
quando sappiamo avere la pazienza
dell’attesa, quando il tempo ci insegna
a sperimentare in modo nuovo il
rapporto! Il “divorzio express”, invece,
elimina il tempo che permette di ripensare,
di ricevere consiglio e aiuto
da altri, di maturare un perdono. La
legge del “divorzio express” manda un
messaggio chiaro ai giovani da parte
della società: “Noi non ci preoccupiamo
più del vostro legame, non abbiamo
nessun interesse a proteggerlo. Se
volete lasciarvi, va bene, è un problema
vostro, e noi vi risolviamo tutte le
difficoltà”. Si toglie ai cosiddetti “figli
del divorzio” la sicurezza di un tempo
affidabile, derubandoli della possibilità
di imparare loro stessi a promettere
“per sempre”. Si lasciano soli i nostri
giovani davanti alla decisione più importante
della loro vita e più vitale per
la nostra società».
Quali speranze che riescano a lenire
le loro sofferenze possono nutrire
le famiglie “ferite” dalla separazione
e dal divorzio per il prossimo Sinodo ?
«Questa sofferenza è una delle più
grandi, appunto perché ferisce il centro
della vita: la chiamata ad amare e
a edficare l’esistenza sull’amore. In
questo senso la Chiesa vuole offrire a
questi battezzati la grande speranza
del Vangelo: malgrado tutto, è possibile,
a partire dalla fede in Gesù, riuscire
nella grande vocazione all’amore. Tra
questi battezzati ci sono quelli che si
sono separati e vivono da soli, fedeli al
loro matrimonio, e che hanno bisogno
di un accompagnamento speciale dalla
Chiesa. E la Chiesa, a sua volta, trova
in essi una testimonianza dell’amore
fino all’estremo di Gesù»
Un caso diverso si dà quando queste
persone hanno deciso di cominciare
una nuova unione...
«Così facendo si collocano in un
rapporto contrario alla loro promessa
sacramentale e alle parole di Gesù. A
loro la Chiesa offre la sua speranza: è
possibile vivere all’altezza del grande
amore che il Signore ci ha donato. Ma
la proposta di dare la comunione ai divorziati che vivono in nuova
unione si mostra come una falsa soluzione,
che toglie la speranza del cammino.
Sarebbe come dire: “Voi non potete
vivere secondo il Vangelo; ma non
importa, cercate di rifarvi la vita in altri
modi”. Ma questa è rassegnazione.
La speranza dice, invece: “È possibile
rifare la vita, la fedeltà originaria, perché
è possibile vivere d’accordo con la
promessa dell’amore fedele di Gesù
che vi è stata data nel matrimonio”.
La Chiesa è chiamata a dare speranza
nella forma di un cammino, con
accompagnamento e pazienza. Essa
dice a questi battezzati: voi appartenete
alla Chiesa, non siete esclusi
dalla comunità, possiamo fare insieme
una strada e arrivare insieme alla
vita secondo il Vangelo, l’unica che
riempie il cuore dell’uomo. In questa
luce si può proporre un itinerario di
riconciliazione, con simboli concreti
e riti di passaggio, che porti poco a
poco, nella preghiera e nelle opere di
misericordia, in contatto con Gesù e,
accompagnati dalla comunità, a rigenerare
la persona e i suoi desideri».
Si parla molto anche di “differenti”
modelli di famiglia che la società
sta imponendo. Quali ripercussioni
avranno sulla crescita dei figli?
«Per rispondere pongo una domanda
di fondo: la famiglia è qualcosa
che si riceve o è qualcosa che si fa? Se
la famiglia è qualcosa che l’uomo fa
da sé, allora è logico che ci siano tanti
modelli di famiglia. Ma se esiste una
realtà che è ricevuta, come sa ogni
bambino, è la famiglia, che ci ricorda
di aver ricevuto tante cose nella vita
e di dover esserne grati: l’esistenza, la
cultura, il linguaggio, la vita... L’idea
che ci siano diversi modelli di famiglia
distrugge, quindi, un elemento essenziale
della vita umana: la capacità di
stupore davanti al dono primordiale,
la gratitudine davanti alle cose ricevute
che ci permettono di edificare la
vita. I “modelli” di famiglia prolungano
una visione dominatrice dell’uomo
sul mondo che lo porta a sfruttare
l’ambiente, a disprezzare gli anziani, a
non dire “per favore” e “grazie”, come ci
insegna papa Francesco. Questo ha ripercussioni
sulla vita dei figli e sull’educazione,
che deve essere sempre
educazione alla gratitudine. La realtà è
che veniamo al mondo dall’unione di
un uomo e di una donna e che solo se
in questa unione c’è un amore fedele e
stabile possiamo essere educati a una
vita buona e trovare la nostra identità.
Se la famiglia fosse una questione privata,
allora si potrebbe permettere a
ognuno di farsi il proprio modello; ma
è la sorgente della vita pubblica, della
responsabilità condivisa, della nascita
dei figli, della formazione dei giovani,
e come tale è insostituibile per il bene
comune della società»