Aprire una crisi di governo di mezza estate e andare alle elezioni anticipate a settembre non è una passeggiata: è la tempesta perfetta. Il problema più grosso è che il premier Draghi si vedrà limitato all’ordinaria amministrazione in qualità di presidente del Consiglio dimissionario nel seguente contesto: una pandemia da gestire (anche se si spera in fase calante dopo il picco previsto la prossima settimana) attraverso l’organizzazione dei vaccini, il sistema sanitario e i ricoveri ospedalieri; una crisi economica senza precedenti con un’inflazione dell’8 per cento ma che sale al 10 e più per le famiglie più povere (che dedicano una percentuale più alta dei loro redditi a bollette del gas e della luce e agli alimentari); una guerra alle porte di casa con conseguenze gravissime sul piano umanitario ed economico. Una guerra combattuta anche con le sanzioni. Confartigianato ha già calcolato le conseguenze di una caduta del governo: 2,5 per cento di Pil inmeno, pari a 49,5 miliardi di euro e 253 mila posti di lavoro persi. Un prezzo altissimo, inaccettabile.
La credibilità internazionale che si era guadagnata l’Italia (anche per l’apertura di negoziati di pace in Ucraina) era importantissima: non a caso le cancellerie dell’Unione europea temono pubblicamente una “stasi” della nostra diplomazia. Non è la stessa cosa trattare in sede Onu o in altri contesti se si è un premier o un ministro degli Esteri a scadenza, oltretutto sbeffeggiato dalla Russia, come ha fatto recentemente l’ex numero due di Putin Medvedev. Un presidente del Consiglio dedito all’ordinaria amministrazione non può certo fare molto per calmierare il prezzo del gas in Europa e nemmeno – per tornare ai panni di casa nostra - potrà varare un’efficace legge di Bilancio, che va chiusa il 31 dicembre per non incorre nell’esercizio provvisorio. Il provvedimento forse più importante del Parlamento italiano rischia di slittare per le elezioni anticipate e tutte le complicazioni annesse.
Eppure la manovra economica di autunno è quanto mai cruciale e complessa soprattutto per venire incontro alle difficoltà economiche di famiglie e imprese e limitare il caro vita. La siccità e la crisi del grano necessitano di provvedimenti europei, le cui richieste vanno inviate a Bruxelles nel campo delle politiche agricole da un governo in carica e non di transizione. Senza il decreto Aiuti verranno meno 11 miliardi di interventi contro il caro-energia per famiglie e imprese (che pagherebbero 3 miliardi di euro in più per il rialzo dei tassi di interesse dei prestiti).
E a proposito di Unione, pensiamo alla seconda tranche da oltre venti miliardi di euro del Piano nazionale di ripresa e resilienza, da investire nella “missione verde e transizione ecologica”, ovvero da utilizzare tra l’altro per la ristrutturazione degli impianti utilizzati nel ciclo dei rifiuti, per la creazione di parchi per l’energia alternativa e per gli investimenti delle grandi opere pubbliche. Bisogna completare le 55 azioni necessarie a incassare questo secondo assegno e un premier dedito all’ordinaria amministrazione non lo può fare. Forse bisognerà razionare il gasolio, vista la crisi mondiale che naturalmente ha colpito un Paese come il nostro totalmente dipendente, pur con le riserve già accantonate per tutto l’autunno. Ma la spada di Damocle più pericolante è quella relativa ai mercati finanziari. Che per ora sono silenti, ma che potrebbero svegliarsi da un momento all’altro e infierire sul debito pubblico più ingente d’Europa, innescando una tempesta finanziaria simile a quella del novembre 2011. La crisi potrebbe influire sul Recovery Fund e sullo scudo anti-spread messo a punto da Francoforte che serve - in un momento in cui, come avverrà domani, la Bce alza i tassi di 25 punti base - a evitare eccessive differenze di spread tra i Paesi dell'Eurozona (provvedimento, manco a dirlo, osteggiato dai Paesi "frugali" del Nord).
Ecco perché le elezioni in autunno comporteranno un serio rischio per il Paese. No, non si tratta proprio di una passeggiata.
(nella foto, il premier Draghi)