Alexei Navalny.
“Prove di avvelenamento”. Così la Frankfurter Allgemeine Zeitung, riprendendo il comunicato dei medici dell’ospedale “La Charité” di Berlino, ha chiarito la sorte di Aleksej Navalnyj, il più aspro e seguito critico della politica di Vladimir Putin e del Cremlino. Come tutti ricordano, Navalnyj si era sentito male poco dopo essere decollato da Tomsk, tanto che l’aereo aveva dovuto compiere un atterraggio imprevisto a Omsk, dove il blogger-politico era stato trasferito in ospedale in stato di coma. Trentasei ore di incertezza e polemiche, con i medici russi impegnati a escludere l’avvelenamento e la moglie e i collaboratori di Navalnyj ad accusarli di voler cancellare le tracce.
Ora la “sentenza” dei medici tedeschi, arrivata dopo ripetute analisi in diversi laboratori. L’avvelenamento sarebbe dovuto a una sostanza ancora sconosciuta, una neurotossina capace di inibire la colinesterasi e, in forti dosi, di bloccare la respirazione. Sempre secondo gli esperti di “La Charité”, Navalnyj non è in pericolo di vita ma non è possibile escludere, al momento, danni neurologici permanenti.
Questa dunque la situazione. E mentre l’ospedale berlinese lavora per restituire la salute a Navalnyj, Vladimir Putin si trova nella scomoda posizione di dover dare una serie di risposte alla comunità internazionale. Per quel che si sa ora, infatti, è difficile escludere l’ipotesi di un complotto a sfondo politico. Perché, altrimenti, i medici dell’ospedale di Omsk avrebbero dovuto escludere un avvelenamento che, nel responso dei loro colleghi di Berlino, risulta invece evidente? Perché la polizia di Omsk avrebbe dovuto parlare di avvelenamento da sostanza radioattiva, tanto da descrivere infermieri bardati con tute anticontaminazione, se non per tenere i parenti alla larga dal paziente? Certo, si tratterebbe del complotto più pasticciato e dilettantesco della storia, ma la sostanza non cambia.
Non a caso l’indice si è subito puntato contro Putin, come del resto subito suggerito dai familiari e dai collaboratori di Navalnyj. Pochi giorni prima di essere avvelenato, Navalnyj era stato a Novosibirsk (e aveva raccontato ai collaboratori di avere avuto la sensazione di essere pedinato), la terza più grande città della Russia dopo Mosca e San Pietroburgo, uno dei centri (un altro è appunto Tomsk) dove il 13 settembre si terranno le elezioni regionali. Nell’una e nell’altra città Navalnyj, come aveva già fatto a Mosca nella precedente tornata di elezioni locali, aveva promosso il “voto intelligente”, ovvero l’idea di votare comunque il candidato che aveva più probabilità di battere il candidato di Russia Unita, il partito di Putin. Un’iniziativa controversa, perché quasi mai tale candidato apparteneva al fronte “progressista” e “occidentalista” ma piuttosto ai comunisti o ai nazionalisti del Partito liberal-democratico, ma che a Mosca aveva fatto perdere molti seggi in consiglio comunale al partito pro-Putin.
Gli equilibrii di potere regionali, inoltre, sono un capitolo molto spinoso dell’agenda politica di Putin. Il Cremlino avverte la crescente sclerosi del sistema e la necessità di un ricambio, come testimoniato dal profondo rinnovamento del Governo centrale. Ma teme di perdere il controllo del processo e di dover affrontare una “seconda perestrojka”. L’incertezza e i ritardi nell’affrontare le esigenze delle periferie provocano scontento e, come nel recente caso di Khabarovsk, forti proteste di piazza.
Detto tutto questo, è lecito chiedersi quale convenienza avesse, per Putin, trasformare Navalnyj in un martire in un momento così delicato. Non ci sono solo le elezioni regionali alle porte. C’è il Covid da sconfiggere e la crisi economica da virus e da crollo del prezzo del petrolio da superare. C’è la crisi in Belorussia, che può avere notevolissime ripercussioni sulla Russia. C’è la riforma costituzionale, che prolunga il potere di Putin ed è stata da poco approvata via referendum, da varare e gestire. Se anche Navalnyj fosse stato ucciso, la realtà di un avvelenamento, quindi di un omicidio, sarebbe comunque emersa. Possibile che Putin sia così poco astuto e maldestro?
Va inoltre sottolineato un altro aspetto. In Europa e negli Usa si parla di Navalnyj come di un “oppositore” di Putin. Ma Navalnyj non ha alcuna possibilità di “opporsi” a Putin al momento di un voto. Il Presidente gode comunque di un consenso che è infinitamente superiore al suo, anche al netto di un sistema che è fatto per sostenere chi è già al comando. Navalnyj, però, è il più insidioso dei critici del Cremlino, perché parla ai millennials. Parla cioè a una fascia dell’opinione pubblica (il 28% della popolazione russa ha meno di 24 anni) che nulla sa dell’Urss come della perestrojka. Non ricorda i tempi duri e gli scossoni del cambiamento e quindi, a differenza delle generazioni precedenti, non prova alcuna “gratitudine” per Putin e per la sua opera di stabilizzazione del sistema. Paese. Le agili campagne 2.0 di Navalnyj, inoltre, mettono alla frusta un sistema di propaganda di Stato rigido e pesante, che non riesce a reagire in modo adeguato e moderno.
Il Cremlino ha promesso un’indagine sull’accaduto. Ma pochi, ovviamente, si fidano. Resta un fatto incontrovertibile: comunque sia, qualunque cosa sia successa, Vladimir Putin non può non assumersi la responsabilità politica di una Russia in cui chi dissente, contasse anche nulla come Boris Nemtsov, muore o rischia la vita con insopportabile frequenza. E in cui chi indaga sulla corruzione, dalla Politkovskaja alla Estemirova allo stesso Navalnyj, finisce in un mirino.