Il 2016 sarà tristemente ricordato come l'anno record di migranti morti annegati in Mediterraneo. Secondo il bilancio dell'Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, che tine questo tristissimo conto, le vittime inghiottite dal mare mentre tentavano la traversata hanno superato le 3.800, di più del 2015.
Mio figlio che ne pensa delle tragedie in mare dei migranti? Che idee si starà facendo di questo nostro mondo che riempie di cadaveri i fondali del Mediterraneo? La tv è accesa in salotto. Il Tg mostra le drammatiche immagini di corpi senza vita che galleggiano, tra cui anche quelle di un ragazzo. Stiamo guardando assieme. Poi la sua prima domanda.
Papà, chi sono tutte quelle persone che muoiono annegate in mare?
“Sono uomini, donne, giovani, madri e padri che sono fuggiti dalla loro casa, hanno attraversato il deserto africano e dopo mesi e mesi di cammino a piedi o con mezzi di fortuna sono arrivati sulle coste del Mediterraneo e da lì, impolverati e stanchissimi, si sono imbarcati con la speranza di arrivare da noi, in Europa. Come fosse una specie di Eldorado, di Paradiso terrestre”.
E perché sono fuggiti dall’Africa che è molto più grande del nostro Paese e anche dell’Europa?
“Perché nei loro Paesi sono scoppiate guerre sanguinose, ci sono persecuzioni e violenze atroci. Oppure si muore di fame e di malattie che lì sono ancora incurabili. E quindi rimanere in quei posti, per loro significava mettere a rischio la propria vita e quella dei propri cari”.
E così hanno deciso di lasciare la loro casa, i loro averi, i giocattoli, i compagni di classe, la maestra?
“Sì tutto quello che avevano, compresi i parenti, gli amici, gli affetti più cari e hanno deciso di fare questo grande viaggio pieno di pericoli, senza voltarsi mai indietro. Pensa a un grande fiume di umanità dolente, che si mette in marcia, come se fosse una processione, una lunghissima via crucis, verso una speranza: quella di trovare un luogo dove vivere un po’ meglio, anzi dove anzitutto sopravvivere. Un posto dove non ci sia nessuno che cerca di farti del male, di ucciderti. Ecco perché, come profughi, provano a venire da noi”.
Perché nelle nostre città si vive bene e non si muore di fame?
“Sì, figliolo. E anche perché nel nostro Paese la libertà e i diritti delle persone sono garantiti e gelosamente custoditi. E magari trovi qualcuno che t’aiuta senza chiederti nulla in cambio. Se ti ammali qualcuno ti cura, ti dà la medicina giusta. E un bambino come te trova una nuova maestra e nuovi compagni con cui giocare”.
Ma perché le loro barche affondano?
“Perché sono troppo piene e troppo vecchie. Così, se incontrano onde alte e mare in burrasca, vengono sommerse”.
Perché sono troppo piene, papà? Non potrebbero aspettare la barca successiva?
“Hai ragione figlio mio, ma vedi: loro non sanno se ci sarà un’altra barca che partirà dopo. Hanno pagato quel biglietto molto caro, molto di più di qualsiasi viaggio che tu potresti pensare di fare, e non possono scegliere. E poi i capitani che guidano la nave sono cattivi e avidi di denaro, come il Gatto e la Volpe: a loro non interessa che i passeggeri stiano comodi o tutti schiacciati come sardine. A loro basta che paghino. E più ne caricano a bordo e più zecchini guadagnano”.
Ma sono tutti così i capitani delle navi?
“No, per fortuna. Solo certi pirati che vivono nell’Isola che non c’è. Stai tranquillo, sono molti di più i veri capitani che hanno a cuore i passeggeri e la loro sicurezza. Anzi molti di loro quando in mare incontrano questi grossi canotti stracarichi e queste barche sgangherate e sempre troppo piene, vanno loro incontro e li salvano caricandoli sulle loro navi e poi li accompagnano in porto”.
I capitani coraggiosi?
“Sì, ci assomigliano”.
Ma a volte gli africani affondano lo stesso.
“Sì purtroppo, perché nessuno li vede. Magari capita di notte, in alto mare e nessuno è lì vicino e può rispondere al loro disperato SOS”.
Ci sono anche bambini, li ho visti in tv…
“Sì è vero. Bambini e giovanissime mamme, anch’esse coraggiose, che sono fuggite per dare un futuro ai propri figli, mamme buone come la tua, ma meno fortunate. A volte, però, questi bambini arrivano qui da soli, senza nessuno che badi a loro. Come degli orfanelli perduti nel bosco buio”.
Perché non andiamo ad aiutarli, allora?
“Noi andiamo ad aiutarli e ne salviamo molti per fortuna. Ma dalle coste africane ne partono sempre di più, intere flotte di disperati. E molti ancora si sono messi in viaggio nel deserto”.
Anche Fuad, il mio compagno di banco, un giorno mi ha raccontato che i suoi genitori sono arrivati in Italia con una barca piena di buchi e di gente.
“Sì, ricordo. E lui era ancora nella pancia della mamma, quando lei è salita sul barcone. Arrivati davanti un’isola che si chiama Lampedusa stavano per naufragare, per fortuna è giunta una nave che l’ha tratti in salvo”.
Anche il nonno è andato in barca in America. Ma la sua era più sicura. Vero, papà?
“Più sicura e molto più grande. Anche lui aveva pagato un biglietto molto caro. Aveva portato con sé solo una vecchia valigia e con lui era partito metà del suo paese. Il mare, allora, era l’oceano Atlantico. Ha sofferto molto: ha lasciato nonna a casa e i figli, ma poi è tornato senza naufragare. Il seguito lo conosci anche tu”.
Qui invece naufragano sempre. E se si mettessero a cercarli tutte le navi d’Europa? Con tanti radar e tanti riflettori di notte?
“Giusto, è una buona idea. L’unione fa la forza, sempre, figliolo. Tante navi significa tante scialuppe, tanti salvagenti, tante funi da gettare in mare per salvare chi è già caduto in acqua. Chissà forse un giorno anche i grandi capiranno quello che mi stai dicendo. E poi…
E poi, papà?
“E poi sto pensando a quanto sarebbe bello se un giorno questi viaggi disperati per terra e per mare finissero, per incanto. Ma c’è bisogno che accada qualcosa. C’è bisogno di una magia tanto grande”.
Quale?
“Una magia capace di svegliare dal loro lungo sonno i capi delle grandi Nazioni. E capace di liberare la grande terra africana dagli artigli dei mostri che ne stanno portando via tutte le ricchezze e la stanno trasformando nella Palude della tristezza. Ma questa è un’altra storia (infinita) che ti racconterò presto”.