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mercoledì 07 giugno 2023
 
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L'eleganza di De Zerbi, il riccio del nostro calcio

07/09/2022  L'ex allenatore dello Shaktar Donetsk rifiuta la panchina del Bologna per rispetto a Sinisa Mihajlovic esonerato in un momento particolarmente difficile

Ci sono gesti che vanno oltre il dovuto e per questo valgono di più. Nessuno avrebbe avuto nulla da ridire se Roberto De Zerbi, disoccupato a causa della guerra scoppiata in Ucraina, avesse accettato la proposta del Bologna di prendere la panchina rimasta vacante dall’esonero di Sinisa Mihajlovic. Semmai si sarebbe potuto (e forse dovuto) eccepire sull’eleganza della società che a poche giornate dall’inizio di un campionato ancora lunghissimo dà il benservito, dopo aver provato si dice a convincerlo senza successo alle dimissioni, a un tecnico in notorie e oggettive difficoltà per motivi di salute, che non ha potuto essere presente come avrebbe voluto a tutto il lavoro della sessione estiva per una recrudescenza della leucemia che lo ha colpito.

Ma De Zerbi ha detto «no grazie». Chi ha indagato ha scoperto che i due – Mihajlovic e De Zerbi – non sono amici, non si frequentano, hanno un rapporto di normale colleganza. A chi gli chiedeva delle voci di panchina traballante dopo la scorsa giornata e il 2-2 contro lo Spezia, Sinisa Mihailovic aveva risposto così: «Per adesso non ho nessun sentore. Non mi fascio la testa prima di romperla, cerco di dare il massimo e vado per la mia strada. Nel calcio, come si suol dire, ci sono allenatori esonerati e quelli che saranno esonerati. Io cerco di stare sul pezzo finché sono l'allenatore del Bologna. Cosa mi aspetto da domani? Di svegliarmi, di essere ancora vivo e andare in campo con la grinta che ho sempre messo nel fare il mio lavoro al meglio possibile. Questo lo posso gestire. A ciò che non posso controllare, non penso. Se succede, succede. Io ho la coscienza pulita».

Semplicemente De Zerbi non se l’è sentita di subentrare a queste condizioni per rispetto della persona. De Zerbi del resto è la stessa persona che da tecnico dello Shaktar Donetsk, in Donbass, allo scoppio della guerra aveva detto un altro «no grazie» a chi gli offriva di fuggire. Aveva rifiutato di partire, restando chiuso in un albergo a Kiev, finché i suoi giocatori non fossero stati messi in sicurezza e il campionato sospeso. Per rispetto degli impegni presi.

Questo nuovo rifiuto, non dovuto ed elegante, non fa che confermare che qualunque cosa si faccia nella vita lo si fa come si è. Ci sono persone che più di altre hanno il talento che serve per percepire la giusta distanza, che poi è la cifra dell'empatia, esemplificata dall'apologo dei porcospini di Schopenhauer. Forse non è da questi particolari che si giudica un allenatore, almeno stando alla frequenza con cui si sventolano le panchine per chiedere conto di un ruolo in cui a quanto pare il risultato è tutto (e subito). Ma è bello poterne ammirare uno anche per la persona che è. Vinca o perda le prossime partite che avrà in sorte di giocare.

 
 
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