Pio XII pronuncia parole chiarissime l’11 novembre 1948. Le macerie della guerra occupano ancora l’Europa e Pacelli lancia un appello che è insieme un monito: “Non c’è più tempo da perdere. E’ ora che si faccia un’ unione europea. Si chiedono alcuni se non sia già troppo tardi. Ci attentiamo dalle grandi nazioni del Continente che sappiano fare astrazione della loro grandeur del passato, per attestarsi su una superiore unità politica ed economica”.
Pio XII prevede ciò che dovrà venire e il suo appello indica una necessità, che era presente in tutti coloro che ritenevano dovesse cambiare la collaborazione tra le nazioni europee per evitare in futuro tragedie come la guerra appena finita. Pacelli era convinto che occorresse un nuovo ordine sovranazionale e che la polarizzazione tra le due superpotenze uscite vittoriose dalla guerra, cioè gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, potesse essere compensato e contemperato dalla nascita di un forte soggetto terzo, altrimenti la situazione geopolitica che si andava delineando poteva costituire un danno al mondo intero.
L’idea di Europa di Pacelli coincide con l’Europa della cristianità, l’Europa di San Benedetto che lui proclama nel 1947 “padre dell’Europa”. Fino a Karol Wojtyla l’europeismo della Santa Sede e concepito in chiave difensiva. Pio XII ha molto insistito, almeno fino alla morte di Stalin, sulla Ced, la Comunità europea di difesa, che poi venne, come idea, archiviata da De Gaulle, contrario ad ogni ipotesi federalista in Europa sul piano politico e militare. Pacelli era federalista e quella federalista era un’idea che il resto del mondo cattolico male digeriva.
Quando venne eletto Roncalli le cose cambiano perché il Papa bergamasco aveva sperimentato come ambasciatore del Papa in Bulgaria, in Turchia e a Parigi l’idea di una collaborazione fondata su dialogo costruttivo, prima che sulla difesa di spazi e principi. E’ Roncalli che avvia l’Ostpolitik, che arriverà con Wojtyla, alla famosa idea della Europa a due polmoni dall’Atlantico agli Urali. E’ Roncalli che avvia la costruzione con la politica della pazienza di un’azione diplomatica che porterà allo sgretolamento delle divisioni e dei muri in Europa. Roncalli per primo parla di “bene comune europeo” aggiungendo che esso “per sua stessa definizione non potrebbe favorire una nazione a detrimento dell’altra”.
Paolo VI consolida le idee di Giovanni XXIII. Nel 1968 in un discorso ai membri della Cee e dell’Euratom Montini definisce gli interlocutori “Europa in cammino” e auspica non solo un’unione economica, ma anche “un’intesa sul piano politico”: Paolo VI ritiene che l’Europa dei sei di allora abbia “primaria importanza per il retto equilibrio della società umana”. Po arriva Wojtyla ed è la svolta.