«L’Europa non deve restare un
eldorado per i trafficanti di esseri umani».
A dirlo è Nicolas Le Cos, presidente del Greta, il gruppo di esperti
del Consiglio d’Europa che monitora il rispetto della Convenzione
sulla lotta contro la tratta degli esseri umani, giunta al quinto
anno di vita.
Hanno appena pubblicato il Terzo Rapporto Generale, che
diventa l’occasione per invitare gli Stati europei a «un
soprassalto». Dice Le Cos:
«Devono cambiare passo, per
combattere la tratta insieme alle peggiori forme di sfruttamento che
l’accompagnano: il traffico a fini di schiavitù, il lavoro
forzato, il mercato d’organi, l’avviamento alla mendicità
forzata o alle attività illecite».
Secondo il rapporto, le legislazioni nazionali devono adeguarsi
qualora non prevedano queste declinazioni del fenomeno. In
particolare, a proposito della definizione di tratta e dei mezzi
impiegati dai trafficanti per ottenere il consenso delle vittime,
«dovrebbe essere introdotto
il concetto di “abuso di vulnerabilità affettiva o economica”».
È questa una delle cinque priorità contenute nel
Rapporto, basato sulle missioni sul campo effettuate dall’1 agosto
2012 al 31 luglio 2013 in 10 Paesi (Armenia, Bosnia-Erzegovina,
Francia, Lettonia, Malta, Montenegro, Norvegia, Polonia, Portogallo e
Regno Unito).
Sempre gli esperti di Greta chiedono la fine di quelle
zone d’ombra che permettono ai trafficanti di sfuggire alla
giustizia e privano le vittime dei loro diritti. Dove? Soprattutto in
quei Paesi che ancora non hanno introdotto la Convenzione sulla lotta
contro la tratta degli esseri umani. Tra i membri del Consiglio
d’Europa, ne mancano solo 7 su 47: Repubblica Ceca, Liechtenstein,
Monaco e Russia non l’hanno neppure firmata, mentre Estonia, Grecia
e Turchia devono ancora ratificarla. Nell’anno appena trascorso,
invece, ci sono state le adesioni di Germania, Ungheria e Svizzera.
Per aumentarne l’efficacia, il Consiglio d’Europa ha deciso di
estendere la proposta di adesione anche a Stati esterni e di
appellarsi all’Ue affinché caldeggi la ratifica di tutti gli Stati
membri che ancora mancano all’appello.
In terzo luogo, il Rapporto invita gli Stati a
coinvolgere il settore privato e soprattutto i media per aumentare la
prevenzione. Se i mezzi di comunicazione, ovviamente rispettando la
privacy delle vittime, potessero sensibilizzare l’opinione
pubblica, in particolare sulle nuove forme assunte dalla tratta, il
settore dell’industria e del commercio dovrebbero essere coinvolti
per evitare che i prodotti venduti non siano il risultato di forme di
sfruttamento.
Gli Stati devono prendere serie misure per la protezione delle vittime di tratta.
«La quarta priorità – spiega Le
Cos – è una valutazione indipendente dell’efficacia delle misure
contro la tratta. Per esempio, l’impatto della penalizzazione dei
clienti dello sfruttamento sessuale, considerato uno strumento contro
la tratta da alcuni Paesi europei, andrebbe analizzato in tutte le
sue conseguenze. È in particolar modo da verificare che non spinga
le vittime nella clandestinità, o in una condizione di vulnerabilità
maggiore, e che non destini risorse in procedimenti giudiziari a
scapito delle inchieste sui trafficanti».
Infine, il quinto punto: in base all’articolo 28 della
Convenzione, gli Stati devono prendere serie misure per la protezione
delle vittime e dei testimoni contro le intimidazioni e le eventuali
rappresaglie. «Purtroppo –
sostiene Le Cos – manca ancora una messa in opera sistematica, a
livello internazionale, e la protezione rimane talvolta aleatoria.
Inoltre, è inaccettabile che, per quanto riguarda l’indennizzo
delle vittime, alcune ne siano private, nonostante le prescrizioni
della Convenzione. In certi casi, mancano fondi pubblici accessibili
alle vittime, che magari hanno lasciato il territorio, oppure le
procedure d’ottenimento sono troppo complesse».