L'ungherese Kristina Morvai al Parlamento europeo: accanto a lei, un manifestino che invita a dire "no" all'Europa (Reuters).
Parigi - Un fantasma si aggira per l’Europa... Ai tempi di Marx e Engels, e del “Manifesto del partito comunista”, lo spettro era il comunismo. Oggi ha cambiato nome, si chiama populismo o, alternativamente, eurofobia. A poche settimane dall’appuntamento con le urne per in rinnovo del Parlamento europeo, il 25 maggio prossimo, il principale motivo di inquietudine è questo: quale sarà l’ampiezza del terremoto euroscettico, o meglio euro-ostile, che rischia di sconvolgere l’Unione Europea e i 28 Paesi che la compongono? Se dall’inizio dell’anno la situazione economica sembra essere leggermente migliorata, se la paura dell’implosione dell’euro si è allontanata, i segnali di crescita sono ancora debolissimi. L’Europa attraversa una profonda crisi di sfiducia, e i suoi cittadini hanno l’impressione di pagare a carissimo prezzo la passività di cui hanno dato prova i loro governi in questi ultimi anni.
Il baratro del debito (pubblico e privato), la crescita vertiginosa della disoccupazione, la diffidenza verso le classi politiche che hanno perduto ogni credibilità, il risentimento nei confronti delle istituzioni europee considerate responsabili delle difficoltà finanziarie, l’incapacità dei governi che non riescono né a risolvere né a tenere sotto controllo i gravissimi problemi dell’immigrazione. Tutti questi fattori spiegano perché il populismo che spesso rima con estremismo (di destra) e l’eurofobia (che rima con demagogia) hanno il vento in poppa.
Tutti i nodi rischiano di venire al pettine il 25 maggio, quando decine di milioni di cittadini saranno chiamati alle urne per rinnovare l’Europarlamento. A parte il tasso delle astensioni che rischia di battere ogni record, i sondaggi annunciano una clamorosa affermazione dei partiti e movimenti euroscettici e populisti. In Francia, per esempio, dove il partito socialista al potere da meno di due anni ha subito una tremenda sconfitta nelle elezioni amministrative dello scorso marzo, si prevede che nelle europee arriverà in testa il Fronte Nazionale guidato da Marine Le Pen, che dovrebbe rastrellare il 24-25 % dei voti e diventare il primo partito di Francia, davanti all’Ump (centrodestra) e al Ps ai quali i sondaggi attribuiscono rispettivamente il 22 e il 19 % dei voti.
Dopo la batosta elettorale dello scorso marzo, il presidente socialista François Hollande ha tentato di correre ai ripari licenziando lo sciallbo, impopolare primo ministro Jean-Marc Ayrault e sostituendolo con il popolarissimo, giovane e dinamico Manuel Valls, già ministro degli Interni, che incarna “la destra della sinistra” ed è subito stato soprannominato “il Renzi francese”. La manovra, però, non è stata vantaggiosa per Hollande, il cui indice di popolarità è ulteriormente crollato al 19%, mentre quello di Valls sfiora il 55%.
In Italia sono in molti a temere un’ulteriore ascesa del Movimento 5 Stelle (M5S) guidato da Beppe Grillo. Stesso discorso per i populisti olandesi del Partito per la libertà (PVV) di Geert Wilders. Le previsioni dell’istituto “Notre Europe” (fondato da Jacques Delors) sono buie: nelle elezioni del 25 maggio, i partiti eurofobi (d’estrema destra e d’estrema sinistra) potrebbero rastrellare, in tutta l’Unione europea, più del 25% dei voti e conquistare più di 200 seggi sui 751 dell’Europarlamento.
Una seria minaccia per la democrazia, tanto più seria in quanto l’equazione “crisi economica = crescita del populismo” non sempre si verifica. In Spagna, per esempio, dove la crisi ha colpito duramente e il tasso di disoccupazione è del 27%, il populismo è quasi inesistente; mentre in Austria, un Paese che gode di un’ ottima salute economica, il partito eurofobo e populista d’estrema destra FPÖ si è accaparrato il 21,4 % dei voti nelle elezioni politiche dello scorso settembre.
Il populismo ha il vento in poppa anche in due dei Paesi più ricchi d’Europa, che però non fanno parte dell’Ue. In Svizzera, il partito d’estrema destra UDC-SVP, ha raccolto quasi il 26% dei voti nelle ultime elezioni federali (ottobre 2011). Il caso più clamoroso è però quello della ricchissima Norvegia dove il Partito del progresso ha ottenuto nello scorso ottobre un successo elettorale tale che gli ha spianato la via del potere. Guidato da una donna, Siv Jensen, il partito è entrato nella coalizione che governa il Paese, e controlla 7 ministeri su 18 fra cui quello, altamente strategico, del petrolio (l’oro nero è, insieme con la pesca, la principale fonte di reddito.
La xenofobia, l’anti-europeismo, la lotta contro l’immigrazione e contro la mondializzazione sono i denominatori comuni di tutti questi partiti populisti (il più delle volte di estrema destra, ma ce ne sono anche all’estrema sinistra, come, il Francia, il “parti de la gauche” guidato da Jean-Luc Mélenchon, che spesso si trova sulla stessa lunghezza d’onda del Fronte Nazionale).
Il primato della xenofobia e dell’antisemitismo va tuttavia attribuito a una donna, Krisztina Morvai, deputato europeo e leader del partito d’estrema destra ungherese “Jobbik”. La rozzezza e la volgarità dei suoi discorsi hanno superato ogni limite, specie quando se la prende con i Rom e con gli ebrei: si fa beffe del loro aspetto fisico e esprime persino dubbi sulle loro capacità sessuale. Nonostante i suoi eccessi verbali, Krisztina Morvai, ex militante della “Guardia ungherese” (un gruppo paramilitare ufficialmente sciolto nrl 2009) è riuscita a farsi ammettere nella commissione del Parlamento europeo per la parità dei sessi.