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venerdì 20 settembre 2024
 
 

L'eutanasia in Belgio e quel pensiero a senso unico

17/09/2016  È mai possibile che nonostante i progressi compiuti dalla medicina palliativa di fronte alla vita debole, fragile e malata la soluzione evocata sia sempre e soltanto quella della morte come se la vita umana fosse un giocattolo rotto da buttare via in fretta quando non funziona più?

Di fronte alla morte per eutanasia di un ragazzo di 17 anni malato terminale non è possibile nessuna crociata, da un parte e dall’altra. La legge approvata in Belgio (ma lo stesso si avvia a fare anche l’Olanda) che nel 2014 ha esteso l’eutanasia anche ai minori è stata una sconfitta per tutti, credenti o laici che si sia.
Lo dimostra la mobilitazione trasversale di leader religiosi e spirituali, medici e pediatri, esperti di bioetica, personalità laiche che due anni fa con argomentazioni serrate e ragionevoli chiesero al Parlamento belga di fermarsi e di riflettere. Non ci fu nulla da fare. Un atteggiamento bizzarro se pensiamo che la società laica odierna ha fatto un vanto del (presunto) pluralismo ideologico e di valori e del (presunto) rispetto per ogni visione della vita e della morte. Rispetto che sta alla base delle società laiche, democratiche e liberali quali sono quelle in cui viviamo.

Tre riflessioni s’impongono, su tutto. La prima è che il caso del Belgio, alla prova dolorosa dei fatti, dimostra chiaramente che è ipocrita sostenere che un bambino possa chiedere l’eutanasia in maniera libera e consapevole senza cioè essere in qualche modo condizionato o suggestionato dall’atteggiamento dei genitori e dei medici che lo curano. E poi, cosa succede – ma non sembra questo il caso – se la madre e il padre sono di parere diverso? Chi decide in quel caso? Nella tradizione giuridica occidentale il diritto di vita e di morte del padre sui figli era stato superato perché barbarico e immorale. Nel cuore dell’Europa il diritto di decidere della vita altrui, fosse pure quella del figlio, è stato reintrodotto e viene applicato di nuovo oggi.  

La seconda riflessione, più generale ma non meno importante, è che nonostante negli ultimi anni si siano moltiplicate le cattedre, le consulte e i comitati di bioetica (intesa come riflessione interdisciplinare per dare risposte non ideologiche alle questioni del nascere, del vivere e del morire anche alla luce dei progressi della medicina), essa resta la grande esclusa quando nel dibattito pubblico e nelle aule parlamentari si discute di temi eticamente sensibili come questo. Al massimo, secondo un collaudato schema mediatico, si evoca lo scontro laici-cattolici o progressisti-oscurantisti utile solo a sollevare qualche polverone.  

La terza riflessione è, in realtà, un interrogativo: è mai possibile che nonostante i progressi compiuti dalla medicina palliativa di fronte alla vita debole, fragile e malata la soluzione evocata sia sempre e soltanto quella della morte come se la vita umana fosse un giocattolo rotto da buttare via in fretta quando non funziona più?  

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