La mamma di Muhammad, Suha.
La voce di Hussein Abu Khdeir è
ferma, dignitosa. È la voce di un
padre che ha l’orgoglio di dominare
un dolore che non si può dominare:
quello per la morte del figlio
Muhammad, 16 anni, rapito a Gerusalemme
Est, a pochi passi dalla moschea
ma anche dalla parrocchia cattolica
di Beit Anina, torturato e bruciato
vivo da alcuni coloni israeliani come
vendetta per l’assassinio dei tre studenti
rapiti nei pressi di Hebron.
«Mio figlio», dice, «era benvoluto
da tutti, non aveva nemici. Frequentava
l’istituto tecnico, voleva diventare
elettricista come me, e aveva ottimi voti.
Anche alla moschea lo conoscevano
bene, perché faceva tanto volontariato.
L’ultimo suo gesto è stato preparare gli
addobbi e le luci per l’inizio del Ramadan,
ma la sua vera e grande passione
era lo spettacolo. Organizzava spesso feste
per i bambini, lui faceva il clown e il
comico, e aveva messo insieme un gruppo
di danza di ragazzi e ragazze chiamato
Nonno Hassan. Gli piaceva tantissimo
recitare e molte persone, dopo averlo visto
in scena, venivano da me e mi dicevano:
“Hussein, non fargli fare l’elettricista,
mandalo a una scuola di cinema,
è bravissimo”. Ma lui era il quinto di
quattro sorelle e due fratelli, trovare
presto un lavoro era importante per tutta
la famiglia».
- Che cosa è successo il giorno in cui
Muhammad è stato rapito?
«Era un giorno come tanti altri. Lui
stava andando alla moschea ma si era
fermato per strada per aspettare un
amico. A quel punto è arrivata una macchina,
ha accostato, da dentro gli hanno
rivolto la parola. Dopo poco lo hanno afferrato,
l’hanno caricato in macchina e
sono scappati. Dei giovani hanno seguito
la scena da lontano, l’hanno sentito
gridare e hanno inseguito la macchina
finché quella ha attraversato un posto
di blocco che loro, palestinesi, non potevano
passare. Allora sono tornati indietro
e hanno chiamato la polizia».
- E poi?
«I poliziotti sono arrivati e i ragazzi
hanno dato loro il numero del cellulare
di Muhammad. Sarebbe bastato quello
per rintracciare il luogo in cui i rapitori
avevano portato mio figlio, ma la polizia
ha lavorato male. D’altra parte, tutta
la scena del rapimento era stata filmata
dalle telecamere, le facce dei rapitori
si vedevano molto bene perché le
immagini erano chiare e nitide: però ci
sono voluti ugualmente cinque giorni
per rintracciarli e arrestarli».
- È vero che molti israeliani sono venuti
a farvi le condoglianze?
«Sì, è vero. Moltissimi semplici cittadini
e anche molti politici».
- Anche il presidente Peres e il premier
Netanyahu?
«Si sono offerti di venire ma noi non
ce la siamo sentita di accettare».