Non c'è nessuna differenza tra i giovani in fila per partecipare al Cairo ai provini del talent show Arab Idol e quelli che in Occidente sognano X Factor. Solo che nel 2012 tra loro ce n'era uno con mille motivazioni in più: Mohammed Assaf aveva 23 anni, era nato e cresciuto nei territori occupati della striscia di Gaza fra le macerie delle bombe e aveva dovuto superare frontiere reali e culturali per essere lì. Ma alla fine fu ammesso e vinse diventando un simbolo di speranza per il popolo palestinese. Ora gira il mondo come ambasciatore di pace per l'Unicef. La sua storia è raccontata in The Idol, film diretto da Hany Abu-Assad che comincia mostrandoci Mohammed da bambino, quando, insieme agli amici Ahmad e Omar, e alla sorella Nour, un maschiaccio più tosto di tutta la compagnia, sogna di formare una band per accompagnare la sua meravigliosa voce.
In questa prima parte si affronta in modo molto convincente anche il tema dell’emancipazione femminile, mostrando Nour in tutta la sua tenacia a voler suonare la chitarra con la band nonostante la società palestinese non lo ammetta. Il microcosmo dei quattro piccoli amici contiene anche il seme dell’integralismo islamico, al quale aderirà di lì a poco Omar, dopo essere stato respinto proprio dalla ragazzina. La parte che riguarda Mohammed da grande è costruita invece come una sorta di “sogno arabo”, sulla falsa riga di quello americano, in cui il talento e la volontà vincono su tutti gli ostacoli, che in questo caso sono di natura politico-religiosa. Ne risulta un film che mantiene il tono favolistico tipico di un'altra pellicola simile e di grande successo come "The millionaire" e che come in quel caso sa dosare bene sorrisi e commozione. Ma è il volto della piccola Nour alla fine quello che più resta impresso: la sua passione, la sua sensibilità e il suo coraggio anche verso l'ottusità degli adulti sono forse il messaggio più forte e più universale che il film lancia.