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L'ignoranza di Gesù e la sua Divinità

14/04/2022  Cristo è vero Dio e vero uomo. La sua “ignoranza” di alcune realtà esprime la verità dell’incarnazione

Qualche settimana fa ho ricevuto una domanda che ho tenuto in serbo proprio per questo tempo forte dell’anno liturgico in cui ricordiamo la Passione del Signore. La domanda riguarda un versetto del vangelo di Marco e Pier mi scrive: «Gesù parla dell’ora della fine del mondo (o della venuta del regno di Dio, ricordo male?) e afferma che non la conosce neppure lui ma solo il Padre. Come risponderebbe all’obiezione: quindi Gesù è un Dio di secondo livello?

Come interpreta la Chiesa questo passo problematico?». Il versetto in questione è il seguente: «Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre» (Marco 13,32). Questo passo del Vangelo – noto come «il loghion (detto) dell’ignoranza gesuana (o messianica)» – era stato notato già dai primi cristiani, che hanno risposto confermando la fede cristiana nell’incarnazione del Verbo come vero Dio e vero uomo.

Come vero uomo, Gesù non si è rivestito dell’umanità come di un vestito estrinseco, ma si è fatto veramente uomo. Egli, di conseguenza, ha condiviso con noi la condizione umana dell’ignoranza di ciò che non era essenziale alla sua missione. Quest’ignoranza, come anche la crescita di Gesù «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Luca 2,52), come pure la fatica di Gesù-uomo di cui parla Giovanni (4,6, al pozzo in cui incontra la Samaritana) sono solo alcune delle espressioni di questa verità dell’incarnazione. Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo. E proprio questa verità della fede, confermata continuamente dalla Scrittura, deve attirare il nostro intelletto, il nostro sguardo e, direi anche e soprattutto, il nostro cuore per ricambiare l’amore di Colui che non ha finto di essere uomo come noi, ma si è fatto veramente uomo e ci ha amati divinamente con cuore d’uomo, egli che – come ci ricorda un inno protocristiano – «pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini.

Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Filippesi 2,6-8). Ricordiamo, infine, che questi “sentimenti” e atti di Gesù sono stati graditi al Padre il quale, con la risurrezione di cui facciamo il memoriale, «lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome…» (Filippesi 2,9). Un abbraccio dal profumo pasquale.

 
 
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