Recentemente la blogger Selvaggia Lucarelli ha chiesto e ottenuto la chiusura di una pagina Facebook intitolata “Sesso, droga e pastorizia”, uno dei tanti, - purtroppo non è un caso isolato -, spazi infiniti esistenti sui social dove le persone possono scrivere, impunite, tutto l’odio e la cattiveria che si genera dai loro malesseri e frustrazioni. Si chiamano hater (odiatori) e come hobby vomitano odio sul web. Spesso prendono di mira il mondo femminile con una inaudita violenza verbale. Non sempre ci mettono la faccia. Ma spesso è facile individuarne nome e cognome.
Così scrive a questo proposito, condividendo giustamente sui social il suo pensiero, una donna, mamma e lavoratrice nel mondo della selezione del personale:
«Avrei potuto scrivere il mio parere sulla chiusura di quella pagina Facebook da mamma, da donna, da ex studentessa di sociologia, ma ho deciso di farlo in base alla mia professione: recruiter.
I ragazzi e le ragazze che vomitano insulti, offese, bestemmie sono gli stessi che si rivolgono - o si rivolgeranno - a me per cercare lavoro.
Lo faranno con le loro faccine d'angelo e i loro bei cv europei pieni di diplomi, lauree ed aspettative, senza sapere che la prima cosa che oggi fa un selezionatore è verificare la reputazione social.
E a questo punto per questi signori e signore verrà il bello... anzi il brutto.
Si chiederanno increduli perché sono stati scartati, perché non hanno superato la selezione, perché hanno perso quella occasione, perché non sono stati scelti per quello stage tanto interessante…»
Non sappiamo se questi “odiatori” sono tutti giovani, studenti, universitari o laureati. Vogliamo però riflettere tenendo presente questa lezione che è un invito a combattere la violenza verbale on line di cui sono vittime sempre più personaggi pubblici e non solo…
Le parole di questa donna,una professionista “cacciatrice di teste”, ricordano a tutti, ma soprattutto ai giovani che si affacciano al mondo del lavoro, la responsabilità personale riguardo quanto scriviamo e condividiamo attraverso i moderni mezzi di comunicazione.
Partecipare a una discussione sul web utilizzando toni volgari, offensivi e violenti, non è solo un dettaglio, uno sfogo, un’espressione di libertà di pensiero. Significa suggellare nero su bianco la propria debolezza e vigliaccheria, la propria incapacità di rispettare il pensiero degli altri. Un difetto non da poco. Soprattutto se si è in cerca di lavoro. Non è un caso, infatti, se oggi chi fa selezione del personale non si limita più a leggere un curriculum vitae e a cercare di conoscere il candidato attraverso un formale colloquio di persona. Oggi si va a scavare e a misurare quella che si chiama Web reputation (la reputazione sul web) controllando il profilo di un candidato su Facebook, su Linkedin, su Twitter. Rendendo sempre più alto il rischio che uno stage, un posto di lavoro, una collaborazione, possano svanire per stupidità e arroganza.
«Non so se spiegare questa cosa a ragazzini che non sono nemmeno in grado di capire la differenza fra ironia ed insulto», continua la nostra recruiter, «tra libertà di pensiero ed offesa gratuita, tra realtà e mondo virtuale ha senso. Credo e temo che non abbiano nemmeno chiaro il concetto del tempo e del loro futuro. Ma se leggere queste parole farà venire anche un solo dubbio ad uno di loro e se quest'uno inizierà a non scrivere più certi commenti, allora da mamma e da donna sarò soddisfatta».