900 donne di sei slum di Mumbai hanno ripreso in mano le loro vite e questo è stato possibile grazie al progetto che Ibo Italia porta avanti in India anche grazie al contributo della Cei. Si chiama "Slum women empowerment project" e ha visto il coinvilgimento diretto in qualità di partner locale del Navjeet Community Health Centre. L'8 marzo è l'occasione più adatta a rendere omaggio ai percorsi di queste donne attraverso le testimonianze di chi ha potuto toccare con mano, perché coinvolto a diverso titolo nell'avventura, cosa succede nei sobborghi dimenticati di Mumbai.
L'ambizione del progetto è rendere le donne nuovamente protagoniste: e per farlo è stato necessario un delicato lavoro di recupero dell'autostima di ogni singolo individuo coinvolto. La strada intrapresa da Ibo è passata attraverso i gruppi di auto-aiuto Mahila Mandals e Self help groups. Proprio qui è stata generata l'energia che ha portato il progetto ad assumere connotazioni nuove, sperate ma per certi versi anche inattese.
Piccole iniziative imprenditoriale sostenute attraverso elastiche forme di microcredito, percorsi di prevenzione sanitaria per donne e bambini, seminari per incentivare le abitudini di risparmio, corsi di alfabetizzazione e formazione professionale: è questo quello che oggi si fa negli slum di Mumbai grazie a Ibo Italia nella convinzione che il rispetto dei diritti e l'uguaglianza tra i sessi passino inevitabilmente dalla restituzione della speranza a donne che l'hanno necessariamente persa.
Qui di seguito le parole di Chiara Paoli, volontaria IBO Italia a
Mumbai, raccontano un momento speciale per le
donne del Sui&Dhaga, che ha segnato in maniera significativa il percorso
del gruppo.
«Alla fine del mese scorso (Agosto 2010, n.d.r.), vicino
all’ Holy Family Hospital di Bandra, di
pomeriggio inoltrato, c’è stata una piccola e familiare cerimonia di
inaugurazione di una ancor più piccola stanza, situata in Somnath Lane. In
questa stanza le donne del Sui&Dhaga si ritrovano da mesi per partecipare a
corsi di sartoria che le ha portate al consolidamento delle loro capacità.
Ospite d’onore per l’occasione Maria Giovanna Speltini,
Presidente IBO Italia, organizzazione il cui impegno ha portato alla
realizzazione di questo giorno. Dopo il tradizionale taglio del nastro rosso,
le donne si sono riunite insieme a Maria Giovanna, Letizia - Rappresentante
Paese India per IBO - e Sr.Shanty, coordinatrice Sui&Dhaga per l’anno
2010-11, per discutere dei progressi fatti dal gruppo e delle sfide che propone
il futuro.
La conversazione è iniziata con una domanda fondamentale
posta alle donne: “Chi è il Sui&Dhaga?” Sotto questo nome si possono
infatti leggere diverse risposte: esso può essere un modo per arrotondare lo
stipendio a fine mese o per passare il tempo esercitando un proprio talento,
un’occasione per conquistare delle ore fuori casa, una risorsa fondamentale per
il sostentamento della propria famiglia, o la speranza del rovesciamento di una
condizione altamente restrittiva in special modo verso le donne.
Il Sui&Dhaga è una via per l’emancipazione e la
crescita personale, un modo per costruire autostima e fiducia nelle proprie
capacità di donna in una società troppo spesso tesa alla repressione
dell’individuo di sesso femminile. Il Sui&Dhaga però è sopratutto un gruppo, un gruppo di donne che sceglie
di confidare una nell’altra verso un cammino comune di crescita e riscatto.
Allo stesso modo, la stanza del Sui&Dhaga, affittata
anche grazie al progetto Slum Women Empowerment finanziato dalla Conferenza
Episcopale Italiana non è semplicemente una stanza. Essa è teatro e testimone del loro
impegno giornaliero e della loro tenacia, l’incubatrice dei loro sogni e la protettrice
silenziosa dei loro talenti. È uno spazio condiviso e unico, in cui
riecheggiano una volta di più le parole di Virginia Woolf: “Quando le donne
avranno una stanza tutta per sé, non quella stanza in cui sono state rinchiuse
per secoli a sognare il mondo al di fuori, ma il luogo, fisico e metaforico, in
cui potersi allontanare dalle interruzioni della vita domestica, da coloro che
consigliano, ordinano, giudicano, allora potranno essere se stesse e vivere a
contatto con la realta’ non piu’ in isolamento ma in una nuova e piu’ intensa
relazione con il mondo”.
Queste quattro mura sono oggi sopratutto una conquista, in
una città come Mumbai la cui storia è fatta di “fatiche e sacrifici” per tante
persone, una città in cui la lotta per la sopravvivenza “si diffonde così
vividamente e imperturbabile nelle strade. Questo è ciò per cui le persone sono
qui: per realizzare il loro viaggio, per realizzare i loro sogni”.
L’inaugurazione di una piccola stanza nel cuore pulsante della città
rappresenta un piccolo passo in questo cammino simbolico e materiale di
conquista ed emancipazione».
Segue, la testimonianza di Elisa Iori, volontaria IBO Italia.
«A
partire dagli anni ’90 la lotta alla povertà è tornata ad essere uno dei temi
principali all’interno della comunità internazionale in quanto questo fenomeno,
per numeri e durata, costituisce la più grande piaga sociale del nostro tempo.
Infatti, secondo stime recenti della Banca Mondiale, nei paesi in via di
sviluppo una persona su quattro (ovvero 1,4 miliardi di individui) vive con
meno di 1,25$ al giorno. Gran parte
di questi vivono in India, divisi tra le aree rurali e le baraccopoli delle
città, definite comunemente come slum.
A Mumbai, cuore pulsante dell’economia indiana,
il 55%
della popolazione urbana vive proprio all’interno di queste aree disagiate.
Slum
Women Empowerment Project
(SWEP), progetto ideato e coordinato da IBO Italia, in collaborazione con il
Navjeet Community Health Centre (NCHC), ONG indiana, e finanziato dalla
Conferenza Episcopale Italiana (CEI), ha avuto come obiettivo proprio
l’eradicazione della povertà diffusa negli slum di Mumbai, attraverso il
rafforzamento del ruolo della donna sia all’interno della famiglia che
all’interno della comunità.
La
consapevolezza che le donne non sono da considerarsi solo come soggetti
vulnerabili e deboli, in attesa di
ricevere un aiuto, ma come elementi attivi, portatrici di cambiamento e
promotrici di una società più giusta, è stato il cardine sui cui si è costruito
il nostro progetto. Molte analisi dimostrano infatti che quando le donne hanno
un ruolo dinamico e una posizione forte nel quadro delle loro relazioni
sociali, tutta la famiglia ne trae beneficio, sia nel presente che nel futuro attraverso le generazioni
successive.
Per
rispondere e combattere efficacemente tutte le dimensioni della povertà il
progetto ha avuto come obiettivo specifico il miglioramento delle condizioni
socio-economiche e sanitarie di 900 donne e delle loro famiglie in 6 specifici
slum di Mumbai, in cui opera da anni il NCHC, nostro partner in India dai primi
anni 2000.
Nello
specifico sono state pianificate quattro tipologie di attività: formazione del
personale del partner locale, rafforzamento del ruolo sociale delle donne come
individui e all’interno delle loro comunità, potenziamento delle azioni legate
alla tutela della salute, identificazione e sviluppo di attività generatrici di
reddito.
Il primo gruppo di attività ha voluto
rafforzare le competenze dello staff del partner locale, per un più efficace
affiancamento alle donne degli slum, nel loro percorso verso una maggiore
consapevolezza dei propri diritti e delle proprie capacità. Sono stati quindi
organizzati corsi di informatica e inglese - per rendere il lavoro dei Social
Workers più sistematico e intensificare azioni di networking con altre ONG e/o
con il settore corporate - di comunicazione e management e di preparazione di
studi di fattibilità per lo start up di attività generatrici di reddito negli
slum».
«Il
secondo gruppo di attività ha previsto invece il rafforzamento del ruolo delle
donne all’interno delle loro famiglie e comunità grazie all’incremento e rafforzamento
di Mahila Mandals (MMs) e Self Help Groups (SHGs), gruppi di auto aiuto formati
da donne che decidono di unirsi per darsi forza, risparmiare insieme e iniziare
piccole attività commerciali. Le donne appartenenti a questi gruppi hanno
partecipato a programmi di alfabetizzazione con classi di Hindi e Marathi, a
corsi su come affrontare e combattere la violenza domestica negli slum, a
workshop dedicati ai ruoli di genere e diffusione di informazioni relative ai
diritti delle donne.
Gli incontri sono stati tenuti da esperti - avvocati/e, attiviste/i di ONG o
istituti di ricerca - e hanno richiesto una partecipazione attiva delle donne,
che hanno raccontato le loro esperienze e trovato nuove soluzioni e supporto. A
tali incontri molte donne hanno partecipato con le proprie figlie, per farle
ascoltare e con la voglia di garantire loro un futuro diverso, decise, ad
esempio, a non permettere il loro matrimonio prima della fine del ciclo
scolastico (pratica ancora altamente diffusa in India).
Il
terzo gruppo di azioni si è sviluppato attorno alla principale attività del
partner locale, ovvero l’erogazione di servizi sanitari gratuiti (o a tariffe
agevolate) per gli abitanti degli slum. Grazie al progetto sono state rafforzate le competenze delle operatrici
sanitarie locali che si occupano di visitare a domicilio le famiglie più
povere, segnalando i casi più gravi all’ospedale di riferimento. Sono stati
inoltre organizzate campagne di informazione e prevenzione relative a diverse
malattie diffuse negli slum - obesità, problemi cardiovascolari, malaria,
epatite, problemi di vista – che hanno portato a esami approfonditi di
laboratorio e distribuzione di medicinali laddove sono stati identificati casi
di persone gravemente affette da malattie in stadio avanzato. Le operatrici
sanitarie affiancano regolarmente la pediatra del NCHC, che gestisce una
clinica gratuita ogni venerdì mattina per offrire prima assistenza alle donne e
ai loro figli.
Grazie alla clinica vengono raccolti dati utili per il
monitoraggio e lo studio delle condizioni di salute all’interno degli slum.
Grazie
al progetto è stato possibile organizzare corsi di formazione continui per le
operatrici sanitarie, per garantire loro uno standard elevato di
professionalità. Sono stati inoltre acquistati dei kit medici con la
strumentazione base necessaria ad operare sul campo (camice, stetoscopio,
termometro, bilance eccetera). Tutto ciò ha contribuito a creare un’atmosfera
di fiducia e accettazione negli slum verso queste figure che sono diventate un
ponte importante tra le comunità e il NCHC.
L’ultimo
gruppo di azioni del progetto ha previsto il
miglioramento delle abitudini di
risparmio delle donne e l’incremento dei loro guadagni medi attraverso l’avvio
di attività generatrici di reddito. A supporto di ciò è stato messo a disposizione delle donne un fondo rotativo,
ossia la possibilità di accedere a un capitale iniziale con cui sopperire ai
costi di start up di micro-imprese. La somma prestata viene poi restituita
dalle donne, dilazionata nel tempo, senza l’aggiunta di interessi.
«Un
esempio di successo dell’utilizzo di tale fondo è quello di Vijaia Balchandra
Kamble, 31enne, sposata, con due figli e tre figlie tutti sotto i 14 anni.
Grazie a farina, olio e una macchina per sigillare sacchetti di plastica
acquistati con un prestito del fondo rotativo, Vijaya ogni mattina produce
centinaia di chapati
(il pane locale, simile a una piadina) che il marito taxista distribuisce a
piccoli ristoranti prima di iniziare il lavoro, contribuendo in maniera
significativa al sostentamento della propria famiglia.
Anche
l’unità di cucito Sui&Dhaga (@SuiandDhaga / www.suianddhaga.jimdo.com),
fonte d’ispirazione per questo progetto,
che dal 2007 realizza borse e altri articoli in cotone, è cresciuto
all’interno dello stesso, grazie ad una serie di corsi di cucito, taglio e
ricamo organizzati ad hoc per le sarte parte di questo gruppo. Le stesse donne
hanno in parallelo partecipato a
tutti gli altri corsi proposti dal progetto quali appunto alfabetizzazione,
inglese , contabilità e gestione d’impresa.
Un
progetto così complesso e articolato rispecchia la consapevolezza che la
povertà in termini di reddito è solo la conseguenza di un processo più grave e
profondo di marginalizzazione ed esclusione sociale. Ed è proprio eliminando le
cause che portano a questo processo, aiutando i singoli individui a
rimpossessarsi del loro futuro, del controllo sulle loro scelte di vita che la
povertà potrà essere finalmente combattuta efficacemente.
Grazie
al progetto è stata creata una rete di supporto per le donne, di cui le donne
stesse fanno parte, che attraverso gli incontri, i percorsi di formazione, le
esperienze condivise, la voglia di mettersi in gioco, contribuisce al sogno di
cambiare le relazioni sociali che hanno sempre visto la donna come subordinata,
per la creazione di una società più equa».
Di Enrica Miceli, l'ultimo sguardo sul progetto.
«"L'indipendenza
NON è adatta alla donna” è stata una delle prime frasi che mi sono sentita
rivolgere al mio arrivo in India. Ero appena arrivata a Mumbai come volontaria
in servizio civile per IBO Italia, con il compito di collaborare con il Navjeet
Community Health Centre (NCHC), loro partner locale, nella realizzazione delle
attività del progetto Slum Women Empowerment finanziato dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI)
per contribuire alla lotta alla povertà nelle baraccopoli di Mumbai
(pecificatamente a Bandra East e Ovest, Chembur, Govandi, Khar e Santa Cruz)
attraverso il rafforzamento e la promozione del ruolo della donna all'interno
della famiglia e nella comunità.
Quando
si arriva in un Paese e in una cultura straniera non si è mai pronti. Ero
partita con le migliori intenzioni e ancora più grandi aspettative, ma quella
frase, in un secondo sembrava spazzarle via tutte. Per tentare di uscire
dall'empasse decisi di esporre i miei dubbi ad alcuni operatori sociali del
Navjeet incaricati di realizzare le attività previste dal progetto. La risposta
fu netta e illuminante: ”Quando facciamo i seminari e i training alle nostre
donne sappiamo che non sarà facile, ma questo non è un buon motivo per non
provarci!”. E allora proviamoci.
Sin
dagli esordi la strada scelta per il progetto è stata quella di rendere
protagoniste le donne attraverso la creazione di gruppi di auto-aiuto, Mahila
Mandals (MMs) e Self Help Groups (SHGs), in cui le donne si organizzano per
discutere, scambiarsi esperienze e accedere più agevolmente a forme di
micro-credito. Il progetto inoltre promuove la salute della donna e dei loro
bambini attraverso
prevenzione, visite a domicilio e una clinica settimanale
gratuita; organizza corsi e seminari per incentivare le abitudini di risparmio
tra i gruppi di donne e l'avvio di attività generatrici di reddito; realizza
corsi di alfabetizzazione e di formazione professionale.
Di particolare importanza sono poi i seminari sulla violenza domestica organizzati
nei diversi slum e che mirano a fornire alle donne informazioni, supporto
psicologico, esperienza e abilità per prevenire, riconoscere e affrontare i
casi di violenza fisica e psicologica posti in essere ai loro danni. La
questione della violenza contro il genere femminile è sempre più impellente in
India, in particolare quella che si consuma all'interno delle mura domestiche e
di cui nella stragrande maggioranza dei casi non si ha notizia, negata da un clima
culturale profondamente patriarcale e intriso di vergogna. In molti casi
neanche le stesse vittime la riconoscono, perchè gli abusi fisici e psicologici
si sommano gli uni agli altri mascherandoli con l'ingiusto pregiudizio che la
donna è per legge di natura subordinata all'uomo per tutta la sua vita: prima
il padre, poi il marito e, alla morte di quest’ultimo, il proprio figlio.
Il
primo di questi incontri a cui ho partecipato mi ha fatto capire molto di
questa situazione. Arrivammo a Khar, uno dei quartieri di Mumbai, abitato
prevalentemente da pescatori: io, due operatori sociali del Navjeet, l'esperta
incaricata di tenere la sessione e un piccolo gruppetto di donne con cui
avevamo appuntamento, le altre sarebbero arrivate di lì a poco. L'entusiasmo lasciò
il posto allo sgomento quando scoprimmo che la stanza prenotata per tenere la
sessione era stata adibita a circolo ricreativo da una chiassosa combriccola di
signori del posto che se la spassavano a bere e giocare fregandosene delle
nostre giuste recriminazioni e intimandoci di tornare a casa a impastare
chapati (il tipico pane indiano, simile ad una piadina). Dopo più di mezz'ora
di frustranti e infruttuose trattative, con le donne che intanto avevano lasciato figli, suocere,
faccende domestiche e cene da preparare per raggiungerci e partecipare
all'incontro, sembrava che non ci fosse altro da fare che rinviare il tutto. È già così difficile convincere le donne sull'importanza di partecipare a questi
corsi e ora che erano tutte là bisognava mandarle via ammettendo implicitamente
che i loro diritti, alla fin fine, vengono sempre dopo quelli di qualcun altro?
La
risposta arrivò da sola e da loro stesse. Non so ancora come abbiano fatto, ma
alcune delle donne riuscirono a procurarsi le chiavi di un vecchio stanzone che
anni addietro veniva utilizzato come aula per un'improvvisata scuola
elementare. All’interno una scrivania, una sedia e una presa elettrica a cui
abbiamo potuto collegare il computer per proiettare un documentario con
testimonianze di donne che
avevano trovato il coraggio di far sentire la loro
voce e denunciare gli abusi e le violenze subite. Se la frase che avevo sentito
al mio arrivo a Mumbai aveva spazzato via le aspettative “della partenza”,
questa mobilitazione spontanea e decisiva mi ha fatto capire che l'indipendenza
è propria delle donne ed è giusto provarci!»