Coronavirus 2020 nel Regno Unito. Gestione di una crisi made by Boris Johnson. Ovvero, come un premier, incarnando uno stato da sempre preoccupato di non violare le liberta’ individuali dei cittadini, sbaglia, ci ripensa e genera confusione. Peccato che il virus non abbia un grande rispetto per la privacy
Prendete quella frase del “day one”, la prima giornata di avvio del caos: “Molte famiglie perderanno i loro cari prima che sia necessario” e aggiungi l’immunita’ di gregge by sir Patrick Vallance “Chief Scientific Adviser”, il consulente capo del governo. Ovvero: “Lasciamo correre liberamente il virus e chi ce la fa a immunizzarsi forma il gregge, una barriera naturale di resistenza”.
Gli esperti sono insorti. “Ci vuole il vaccino. Altrimenti non funziona. Il virus ritorna. L’idea e’ bella ma mandiamo al macello milioni di persone senza pensarci su due volte?”. Hanno detto e scritto, tra gli altri, Jonathan Ball virologo dell’universita’ di Nottingham e l’epidemiologo William Hanage di Harvard.
E ancora: “La funzione piu’ importante di un governo e’ di mantenere al sicuro la sua gente. Nessuno puo’ illudersi di poter fare un pasticcio”. “Dodging through”, manipolando un virus di cui sappiamo pochissimo. Questo non e’ un tornado. E’ un uragano”.
E così Boris Johnson e i suoi consulenti si rimangiano la parola. “C’è stata un’inversione a u del governo britannico”, spiega Clifford Longley, cattolico, noto commentatore. “Un paio di giorni dopo l’annuncio sull’immunità di gregge di sir Patrick Vallance nuove informazioni, provenienti soprattutto dall’Italia, hanno avvertito il governo britannico di quanto pericolosa fosse la strada che aveva intrapreso. Il panico si è diffuso e un approccio diverso, piu’ aggressivo, è stato adottato. Con la richiesta alla gente di autoisolarsi, se avevano raffreddore e febbre, e l’invito ad evitare pub e club, cinema e teatri.
La confusione, però, è solo aumentata. Nei consigli dati dagli esperti e nel linguaggio usato dal premier. Boris Johnson non ha mai detto: “Non uscite di casa”, bensì: “Dovete fare “social distancing”. Ovvero mantenere la distanza. Di quanto esattamente e come non e’ mai stato chiaro. Il giorno dopo la gente ha continuato come ha sempre vissuto, ad incontrarsi fuori dai cancelli di scuola, a stretto contatto con vicini, abbracciandosi e baciandosi quando non si vedeva da tempo.
E gli anziani? Alla vigilia della festa della mamma il premier avverte: “Metterete a grave rischio la vita delle vostre mamme e nonne se vi avvicinerete, pero’ lascio a voi di decidere”. “E lei primo ministro andra’ a trovare sua mamma?”, chiede una giornalista. Non si e’ capito. Boris Johnson, quella domenica, prima era troppo occupato e doveva lavorare. Poi avrebbe sentito la mamma al telefono e poi ha concluso, cambiando completamente rotta: “Certo andro’ senz’altro a trovarla”.
Il premier, d’altra parte, ha sempre predicato bene e razzolato male perche’, mentre chiedeva ai cittadini di mantenersi a distanza gli uni dagli altri, lui stesso era fianco a fianco dei suoi esperti, senza nessuna “social distancing”. Non solo. Riconoscendo l’ironia della situazione, e contraddicendosi, ancora una volta, palesemente, ha annunciato giovedi 19 marzo: “Domani dovremo anche noi parlare in remoto se vogliamo essere coerenti”. Ma venerdi 20 erano tutti li’ insieme, senza remoto e della “social distancing” nessun segno.
Nessuna meraviglia, allora, che le indicazioni del premier, cosi’ rivoluzionarie per la vita sociale e cosi confuse, siano state seguite pochissimo. “Proibire grandi assembramenti non avrebbe alcun effetto sul tentativo di fermare il contagio. E’ piu’ probabile che si diffonda in un pub che ad una partita di calcio”. Parola del “Chief Scientific Adviser” sir Patrick Vallance. Il giorno dopo tutte le associazioni calcistiche, a cominciare dalla “Premier League”, hanno sospeso la stagione.
E il governo e’ arrancato dietro la societa’ civile, mettendo al bando tutte le riunioni di persone. E’ ancora Clifford Longley a spiegare le ragioni di tanta confusione. “Si è visto, durante questa crisi, il contrasto tra il sistema di “common law” anglosassone, dove la legge tende a intervenire quando non la rispetti e le legislazioni europee, che risalgono al codice napoleonico, che tendono a dirti come ti devi comportare. Si tratta di due diversi approcci antropologici al problema della liberta’ umana.
Qui, in Gran Bretagna, non vogliamo che lo stato interferisca con come viviamo la nostra vita, a meno che non sia strettamente necessario”, spiega il commentatore cattolico, “Per questo motivo il premier Boris Johnson ha esitato, fin dall’inizio, ad intervenire con decisione per dire ai cittadini come dovevano comportarsi e ha preferito incoraggiarli a non frequentare bar, ristoranti, caffe’ e palestre, decidendo di proibirlo soltanto quando ha toccato con mano che la gente non si comportava come doveva”.
“Esiste, pero’, un altro motivo per cui il primo ministro non e’ stato ascoltato ed e’ la sua mancanza di autorita’ morale”, continua Longley, “I cittadini sanno che Johnson cambia idea facilmente, mente, e’ poco affidabile ed esagera. Non ha, insomma, lo spessore morale per farsi seguire”. Il commentatore non esclude che la Gran Bretagna sia avviata rapidamente sulla strada intrapresa dall’Italia e dagli altri paesi europei.
E cosi in questo paese, dove non esistono carte d’identita’ e dove i poliziotti, sempre disarmati, sentono quasi piu’ il compito di educare il pubblico, che di controllare e punire i cittadini e dove il parlamento non erige barriere fisiche al suo esterno, rischiando attacchi di terrorismo, pur di fare sentire lo stato vicino alla gente, potremmo presto vedere i poliziotti a controllare che nessuno esca di casa. Senza che qualcuno protesti, considerando questa un’intrusione nella privacy degli individui.