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L'integrazione malata di pregiudizi

05/06/2012  La salute degli stranieri è un diritto irrinunciabile. Oltretutto non porta vantaggi solo ai migranti. Se ne è parlato al convegno "Salute e Migrazione" alla Casa della Carità di Milano

La tutela della salute degli stranieri è un diritto irrinunciabile. Non porta vantaggi solo ai migranti, ma conviene a tutti, perché crea una fascia di protezione che si estende al resto della popolazione. Soprattutto, tutelare la salute vuol dire promuovere l’integrazione: star meglio per vivere meglio insieme. È questo il messaggio del convegno “Salute e migrazione” organizzato dalla Sezione Lombardia della Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SITI) e ospitato dalla Casa della Carità di Milano. Si tratta di un confronto tra coloro che si occupano di assistenza socio-sanitaria al migrante, sia a livello istituzionale sia di Terzo settore; l’occasione è la pubblicazione del volume “Medicina delle migrazioni: la salute del migrante e i fattori di rischio associati”.

Secondo Carmelo Scarcella, presidente della SITI Lombardia, “il principio che deve ispirare i progetti di tutela della salute dei migranti è l’integrazione di questi percorsi con i servizi sanitari già esistenti, in modo da evitare la predisposizione di servizi ad hoc; questo permette, infatti, un’importante occasione di integrazione nella società che accoglie il migrante”. In tal senso, un esempio di eccellenza è il Centro di Salute Internazionale e di Medicina Transculturale dell’Asl di Brescia, la provincia italiana con la più alta percentuale di cittadini stranieri (il 16%). Spiega Scarcella: “Quando nel 1989 arrivarono a Brescia 500 senegalesi irregolari, fummo una delle prime Asl a rispondere a questa nuova domanda di salute. Da lì nasce l’esperienza confluita nel Centro di Salute, che risponde alle emergenze dei migranti facilitandone poi l’inserimento nel nostro servizio nazionale”. Il Centro ha fatto una scelta molto importante: si occupa sia di immigrati regolari che irregolari. “Questa dovrebbe essere la direzione. Lo stiamo ripetendo da tempo: il Servizio Sanitario Nazionale deve farsi carico di tutti, compreso chi non ha il permesso di soggiorno”, dice don Virginio Colmegna, fondatore della Casa della Carità. Spesso, invece, non è così. In molti casi, ci si limita alle prestazioni da pronto soccorso e alle cosiddette “cure essenziali e urgenti”.

Non mancano i paradossi. “Ad alcuni stranieri irregolari con fratture viene messo il gesso, ma poi non possono tornare in ospedale per toglierlo. Stessa cosa succede con i punti in caso di sutura. Così siamo sempre alla ricerca di medici amici che, come volontari, siano disposti a rimuovere gessi e punti”, spiega Silvia Landra, direttrice della Casa della Carità. Il convegno della SITI sfata anche il luogo comune secondo cui gli immigrati portano le malattie. In realtà, nell’emigrazione, tendenzialmente, parte chi è sano, chi sta meglio. Nel 2010, ad esempio, in Lombardia gli stranieri regolari erano il 10,4%, ma tra i pazienti ricoverati erano solo l’8% e il 4,3% tra i day hospital. Gli immigrati non contagiano quasi mai i nostri connazionali; in alcuni casi, semmai, il ragionamento andrebbe invertito. Quando si emigra, è per gli stessi stranieri che è più facile ammalarsi. Tanto più se manca il permesso di soggiorno.

Il periodo di maggior vulnerabilità è quello successivo all’arrivo nel Paese ospite: il clima più rigido rispetto alle loro aree di provenienza, le precarie condizioni igienico-sanitarie in cui si trovano a vivere, lo stress psicofisico dovuto al viaggio e all’ingresso in una società nuova e sconosciuta sono tutti fattori che indeboliscono il sistema immunitario. Scientificamente si definisce immunodepressione da sradicamento. “I poveri si ammalano di più”, sintetizza Silvia Landra. Parla di “sofferenza urbana, cioè le dinamiche psicologiche e sociali che si creano tra le grandi metropoli e i soggetti che le abitano”. Per questo, secondo la direttrice della Casa della Carità, la medicina della migrazione non deve diventare “un settore per specialisti”, ma deve piuttosto prevedere un approccio globale. “La cura comincia dalla relazione: cerchiamo di prenderci cura della salute delle persone a 360 gradi, evitando risposte unilaterali e frammentate. Nella nostra esperienza, essere straniero spesso vuol dire avere varie problematiche. È il caso dei giovani scappati dal Nord Africa: tra di loro, ad esempio, stanno emergendo molti casi di disagio psichico legati alla storia di emigrazione”.

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