Lo vedi e la prima cosa che pensi è “ma come farà a stare dentro la Soyuz?”. Con il suo metro e 85, Luca Parmitano appare fuori misura per i minuscoli seggiolini della navicella spaziale russa. Fisico
d’atleta nella tuta blu dell’Esa e stretta di mano vigorosa, confessa
di aver sempre sognato di fare l’astronauta, fin da bambino.
Anche se «non è una cosa che puoi decidere, come puoi decidere di
diventare medico o avvocato. Come pilota militare ho avuto l’opportunità
e sono stato fortunato».
Com’è l’addestramento per volare nello spazio?
«Si svolge principalmente in tre centri: quello dell’Esa a Colonia,
quello della Nasa a Houston e quello russo, vicino a Mosca. In
quest’ultimo s’impara a conoscere gli impianti dei moduli russi della
Stazione Spaziale e a pilotare la capsula Soyuz, sia nel simulatore sia
nella centrifuga, che riproduce le accelerazioni del lancio e del
rientro. Ci si prepara a ogni evenienza, a ogni tipo di avaria. Anche
all’ipotesi di un atterraggio in mare o in un’area remota».
Avete fatto anche scuola di sopravvivenza?
«Sì, e non è un scherzo. Per esempio, con i miei compagni di missione
abbiamo dovuto imparare a costruirci un rifugio per passare la notte
nella neve a 20 gradi sotto zero. Un’altra volta abbiamo dovuto
trascorrere 24 ore in mare in una minuscola zattera pneumatica. Un modo
per abituarci anche a convivere in uno spazio minimo».
E poi, l’addestramento all’attività extraveicolare. Dove si è svolto?
«Un po’ a Colonia e, soprattutto, a Houston, dove la Nasa ha una
gigantesca piscina che contiene i moduli della Space Station. Con la
tuta spaziale, sott’acqua, la spinta di galleggiamento bilancia il peso.
E’ l’esperienza che più si avvicina all’assenza di peso».
Come si svolgeranno le passeggiate spaziali?
«Certo non saranno "passeggiate". Dureranno sette ore circa e saranno
faticose. La tutta che si adopera per lavorare nel vuoto si chiama Emu
ed è una vera e propria astronave, con sistemi che assicurano l’apporto
di ossigeno, il controllo termico. C’è persino un sistema di propulsione
a razzo. Nel vuoto, però, la tuta diventa rigida. Muovere un braccio o
afferrare un oggetto con i guanti è molto difficile».
La tua giornata sulla Space Station?
«Ogni giorno ci saranno cose diverse da fare: esperimenti nel campo
della medicina, della biologia o della fisica, lavori di manutenzione
agli impianti di bordo. E anche le pulizie di casa. Ogni 24 ore, però,
due saranno sempre dedicate all’attività fisica per combattere gli
effetti dell’assenza di peso nell’organismo».
E nel tempo libero che cosa si fa?
«Si può ascoltare musica, chattare via Internet, parlare con i familiari
con un collegamento audio e video. E ancora suonare la chitarra o,
semplicemente, ammirare il nostro pianeta dagli oblò della “cupola”. La
Space Station compie un’orbita ogni 90 minuti: lo spettacolo delle albe e
dei tramonti che si susseguono a mano a mano che si passa dal giorno
alla notte dev’essere incredibile».
Hai una moglie americana, che hai conosciuto
giovanissimo quando hai vinto una borsa di studio in California. E due
bambine. Come vivono questa tua avventura?
«Mia moglie, Catherine, mi è stata di aiuto, è lei che mi ha spinto e
mi ha sostenuto. Alle bambine cerco di spiegare, con un linguaggio
adatto alla loro età, che cosa papà va a fare nello spazio».
Saranno presenti al lancio?
«Sì, certo, ci mancherebbe».