Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker
Il riconoscimento del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, a sbarchi finiti (così si spera), del ruolo dell’Italia nel salvataggio dei naufraghi del Mediterraneo suona un po’ beffardo anche se è sacrosanto. Lo aveva detto al ritorno dalla Colombia anche papa Francesco (“sento il dovere di gratitudine per l’Italia e la Grecia, perché hanno aperto il cuore sui migranti”). Mentre i Paesi dell’Europa erigevano muri e inviavano blindati al Brennero noi salvavamo (e continuiamo a salvare) attraverso la nostra Marina italiana vite, uomini, donne, vecchi, bambini, tenendo a galla la dignità e l'umanità dell'Europa. Tra quote di profughi disattese, risorse finanziarie negate, muri innalzati e persino filo spinato “l’Europa del disonore” riguarda praticamente tutti gli Stati membri, ad eccezione di Italia, Grecia e Germania.
Non si tratta solo dei governi suprematisti e ultranazionalisti di Slovenia, Ungheria o Polonia. Anche Emmanuel Macron, il giovane presidente francese, ha mantenuto un atteggiamento quanto meno ambiguo nei confronti dell’emergenza profughi, arrivando a negare l’approdo nei porti francesi delle navi delle Ong che soccorrevano i naufraghi, oltre a rispedire al mittente, vale a dire a noi italiani, tutti coloro che cercavano di attraversare la frontiera di Ventimiglia. Anche Belgio e Olanda hanno negato eventuali approdi nei rispettivi porti.
Il programma di ricollocamento dei richiedenti asilo dall’Italia e dalla Grecia continua a procedere ma molto più lentamente del previsto. Al 28 agosto ha permesso il trasferimento di 27.444 rifugiati, di cui 19.224 dalla Grecia (soprattutto siriani) e 8.220 dall'Italia (in gran numero eritrei). Diciannove i Paesi di destinazione dei richiedenti asilo provenienti dall'Italia: nell’ordine, Germania (3.215), Norvegia (816), Svizzera (779), Finlandia (755), Paesi Bassi (714), Svezia (513), Francia (330), Portogallo (302), Belgio (259), Spagna (168), Lussemburgo (111), Malta (47), Romania (45), Slovenia (45), Cipro (34), Lettonia (27), Lituania (27), Croazia (18) e Austria (15). Dal 26 settembre si continueranno a "trasferire" solo quei migranti che avranno già ottenuto lo status di "avente diritto": secondo le stime della Commissione europea, sono oltre 7mila in Italia e quasi 5mila in Grecia. Numeri ben lontani dai 160 mila richiedenti asilo del programma iniziale, deciso nel 2015, in piena crisi migratoria. Ungheria e Slovacchia, i due Paesi che avevano presentato il ricorso respinto dalla Corte di Giustizia europea, non hanno sinora accettato di ospitare alcun richiedente asilo. L'Ungheria di Orban ha definito la sentenza “oltraggiosa”. E’ questa l’Europa?
Nei vari Consigli europei tutti gli Stati membri, a parte Germania, Italia e Grecia, si sono espressi contro il rispetto della ripartizione dei richiedenti asilo. Inoltre finora nessuno si sogna di cambiare il Trattato di Dublino del 2003, che impone l’assistenza dei profughi da parte degli Stati di approdo ormai completamente superato dagli eventi globali che hanno investito l’Europa. Danimarca e Svezia, i modelli scandinavi di diritti civili e Welfare, non ne hanno voluti nemmeno un migliaio.
C’è un vento nuovo per l’Europa, preannunciato da Juncker? L’accordo a quattro (Germania, Italia, Francia e Spagna (con la collaborazione di Ciad e Niger) sull’intervento in Libia e nei Paesi del Centrafrica per fermare le carovane della morte dei migranti e soprattutto migliorare le condizioni dei campi di concentramento della costa libica fanno ben sperare, ma è ancora tutto sulla carta. Nel frattempo il vento antico, quello della chiusura, della xenofobia e dell’intolleranza, ha prodotto lo stallo e probabilmente la fine, del disegno di legge sullo “ius soli”, che in realtà andrebbe chiamato “ius culturae” poiché prevede norme molto severe sulla frequentazione di cicli scolastici da parte dei minori figli di stranieri extracomunitari residenti in Italia. E’ stato tutto gettato alle ortiche in nome di un campagna elettorale latente, ma sempre presente, che vieta di approvare qualunque legge che sia divisiva o intacchi il consenso elettorale.