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venerdì 09 giugno 2023
 
Cinema
 

Florida, l'ironia contro l'Alzheimer

05/05/2016  Intervista a Jean Rochefort, che a 86 anni si è messo in gioco nel film "Florida" interpretando il ruolo di un anziano ancora vivace e intelligente, ma costretto a cedere spazio giorno per giorno all’Alzheimer.

A 86 anni (compiuti giusto lo scorso 29 aprile), è uno degli ultimi grandi dello star system francese. Jean Rochefort è l’icona di un cinema che ha dominato e illuminato la scena europea del XX secolo. Una delle ultime, assieme a Jean-Paul Belmondo (che di anni ne ha compiuti 83 anche lui ad aprile) e ad Alain Delon (80). Ma a differenza degli ex super belli dello schermo transalpino, Rochefort non si è messo in pantofole. Recita ancora, quando un personaggio lo solletica e il soggetto ruota attorno a una storia che merita d’essere raccontata. Come nel caso di Florida, il film di Philippe Le Guay in uscita in questi giorni nelle sale italiane. Un titolo che consigliamo. Con sensibilità e ironia, Rochefort si mette in gioco interpretando il ruolo di un anziano ancora vivace e intelligente ma costretto, suo malgrado, a cedere spazio giorno per giorno all’Alzheimer o, quanto meno, a una certa demenza senile. Non in maniera drammatica e traumatica: il suo è un lento scivolare in una serie di contrattempi che lo costringeranno a prender coscienza, dolorosamente, del fatto che ciò che lui era ormai non è più.

Signor Rochefort, che cosa l’ha convinta a girare Florida?

“Non è stata una scelta facile per me. Alla mia età, la situazione era imbarazzante. Ho cari amici che soffrono di questa malattia. Il soggetto mi suscitava parecchi dubbi e preoccupazioni. Ne abbiamo però parlato molto con Philippe Le Guay e lo sceneggiatore Jéro^me Tonnerre, che sono venuti a casa mia spesso durante l’anno. Così, a poco a poco, mi sono fatto convincere e ho intrapreso questa avventura”.

Quali erano gli aspetti che la lasciavano dubbioso?
       
“Volevo che la sceneggiatura lavorasse più in profondità sulla psicologia del personaggio. Philippe ha un senso estetico innegabile, ma desideravo un po’ più di sostanza. Non volevo che il mio Claude fosse così ‘pulito’. Non potevo immaginare questo ruolo, per esempio, senza la scena della pipì sull’auto. Per me fondamentale, rappresentativa. Claude è imbambolato in mezzo alla strada, la macchina strombazza: lui apre i calzoni e urina sul cofano. E’ sorprendente. Eppure, dopo comincia a piangere perché capisce, in quel preciso istante, che ormai è rovinato. E’ un momento di forte presa di coscienza. La cosa più terrificante dell’Alzheimer sono i momenti di lucidità».

In questo lento ma inesorabile scivolamento verso la non autonomia (una personale “dérobade”, per citare un celebre film francese), Claude finisce infatti per coinvolgere chi gli è più vicino: Carole, quella figlia ormai quasi cinquantenne, forte, indipendente, che dopo il suo ritiro ha preso le redini dell’azienda di famiglia ad Annecy. Ma che, anche a causa delle cure e delle attenzioni che riserva al papà, che non lascia mai solo assecondandone le bizzarre richieste, non riesce più ad avere una vita sua. Con l’aggravante di un segreto di famiglia che il vecchio padre ha o pare ormai aver dimenticato e che, per questo, finisce per rinfacciare proprio a lei… Il tono è volutamente leggero, proprio per non angosciare lo spettatore. L’ambiente è quello dell’alta borghesia e il protagonista è, o meglio è stato, un uomo brillante, un viveur, un gaffeur. La vecchiaia, però, è dura per tutti. Specie quando in casa ti vogliono mettere una badante per dirti come o che cosa fare.

Malgrado lo sguardo del regista sia pudico e delicato, nel film non mancano sequenze di una certa asprezza…

 “Quando si soffre di questa malattia a questo stadio, la situazione può precipitare da un momento all’altro. Durante una scena, il mio Claude parla alla figlia e alla badante ma viene colto da una collera improvvisa e urla di essere lasciato in pace. Dimentico della buona educazione. Il suo è un urlo quasi animalesco, come una volpe presa in trappola”.

Perché il rapporto tra padre e figlia è così conflittuale?
       
“La sceneggiatura non lo dice. Ma anche con l’altra figlia, Alice, quella che vive in Florida e che il vecchio padre vuole a tutti i costi raggiungere, visto che lei non viene più in Francia, ci sono parecchie cose in sospeso. Nelle famiglie succede così. A un certo punto ci si ritrova di fronte, come guerrieri”.

Da vecchio padre, cosa si sente di rimproverare a una figlia?

  
“Sicuramente, di fare troppo l’infermiera. Al contempo, non puoi risparmiarle certe situazioni. C’è un’altra scena che mi ha colpito molto: quando Carole lo spoglia ed è costretta a vedere Claude nudo! E’ come se le crollasse il mondo”.

Il regista Le Guay dice che Claude è shakespeariano.

  
“Sinceramente, ci ho pensato. Volevo che Claude fosse affascinante, per quanto possibile. Desideravo a ogni costo evitare il cliché del povero vecchio fastidioso. Ci aiuta a capire la gelosia di una figlia per un padre che, in fondo, la rifiuta”.

Com’è stato recitare con Anamaria Marinca, la badante?
       
“Sono rimasto davvero impressionato. L’avevo vista a Cannes in 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, il film rumeno di Cristian Mungiu che ha vinto la Palma d’oro nel 2007. Già dalle sue prime battute, ho capito di avere di fronte un’attrice comica formidabile. Philippe ha plasmato su di lei certi tratti del personaggio. E’ lei che ha suggerito che tra Claude e la badante Ivona potesse esserci una qualche forma di seduzione”.

A un certo punto del film, Claude canta una canzone di Jean Sablon: Puisque vous partez en voyage. Chi l’ha scelta?
       
“E’ una delle magiche coincidenze di questo film. Sono stato io a proporla a Philippe per portare sullo schermo un momento di complicità tra padre e figlia. Il tema del viaggio riassume tutto il senso della storia. Il modello della vecchia auto di Claude, il nome del succo d’arancia, Miami con le palme. La Florida diventa così mito. Luogo della pacificazione, dove tutto ciò che nella vita ci ferisce non può più far male”.

Anche lei ha la sua personale Florida?
       
“Per me è la sala cinematografica. Perché lo schermo sa farci sognare e così le persone amate sono sempre con noi”. 

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