Stefano Allievi (Ansa).
Perché tanti europei partono per andare a combattere con l’Isis? La risposta è semplice: perché il califfato ha un fascino enorme». Stefano Allievi, professore associato di Sociologia presso l’Università di Padova, studia da molti anni la presenza islamica in Europa e, negli ultimi tempi, le strategie di comunicazione dell’Isis. È quindi pronto a offrirci un punto di vista come sempre originale.
«Ho molto analizzato i loro materiali di propaganda», dice, «e trovo evidente l’analogia con due precedenti storici. La guerra di Spagna, quando giovani di destra e di sinistra accorsero a combattere accanto alle Brigate internazionali o alla Falange. E poi la Rivoluzione d’Ottobre. Ciò che l’Isis “vende” è l’ideologia del califfato, unico territorio al mondo dove si applica la shari’a, la legge islamica. Che è come dire: il socialismo realizzato con, in più, la benedizione divina e la promessa del paradiso in caso di morte in battaglia».
Ma perché è così importante l’idea del califfato?
«Oggi l’Isis controlla un territorio di 200 mila chilometri quadrati con 6 milioni di abitanti, un quarto della produzione di grano dell’Iraq, giacimenti di petrolio. Un territorio libero dall’influenza dell’Occidente, e con risorse tali da sostenere un esercito, una burocrazia, un sistema scolastico e così via. Cinquant’anni fa l’idea del califfato era dimenticata, ma negli ultimi vent’anni la predicazione salafita l’ha riportata in auge. Però veniva sempre proiettata nel futuro: quando faremo la “rivoluzione”... Ora, invece, un califfato c’è ed è, quindi, un forte polo d’attrazione. Proviamo a immaginare: che cosa sarebbe successo in Italia se le Brigate rosse avessero avuto un loro territorio?».
Curioso paragone, questo. Immagino ci abbia riflettuto molto.
«All’interno dell’islam si svolge una battaglia culturale che somiglia a quella affrontata dalla sinistra all’epoca del terrorismo. Allora, semplificando, ci fu una serie di passaggi: da “i brigatisti sono provocatori fascisti” a “compagni che sbagliano” a “nemici del popolo”. Solo quando riconobbe che i terroristi, anche se si richiamavano a ideologie e simboli della sinistra, erano nemici dei lavoratori e dello Stato, la sinistra innescò il processo che sconfisse il terrorismo».
E il mondo islamico a che punto è?
«I musulmani qualunque sono agghiacciati dall’Isis, tramortiti. Ma da rimontare ci sono, appunto, vent’anni di propaganda salafita che non si è espressa nelle moschee, come molti credono, ma soprattutto via Internet. Il che, penso all’Italia, aumenta il rischio che una politica miope attacchi l’islam che non si nasconde, inasprendolo, e lasci spazio a quello che invece si nasconde».
Su quale tipo di persone ha più effetto la propaganda dell’Isis?
«Certo non teologi o esperti di islam. Un inglese che è morto combattendo in Siria, due mesi prima di partire aveva comprato su Amazon i libri Islam for dummies e Koran for dummies (l’islam e il Corano per tonti). Da un lato è peggio, hanno un entusiasmo ingenuo. Dall’altro ci offre uno strumento...».
E cioè?
«Quelli che tornano sono delusi. In certi Paesi, come la Gran Bretagna, non li lasciano tornare e, se li prendono, li mettono in galera. In altri Paesi, come la Danimarca, più astutamente li usano per fare contropropaganda».
Tipi di quel genere abbondano anche in Italia. Però si ha la sensazione che il "contagio" faccia meno effetti da noi che in altri Paesi d'Europa, tipo Francia o Gran Bretagna. E' corretta questa sensazione?
"Sì, in effetti è così".
E perché abbiamo questo "privilegio"?
"L'immigrazione, da noi, è arrivata più tardi, a partire dagli anni Settanta, e quella degli arabi è ancora più tardiva. Non abbiamo nemmeno subito grandi attentati, a differenza non solo di Gran Bretagna e Francia ma anche della Spagna, che pure ha una storia di immigrazione analoga alla nostra. Poi, certo, qualcosa può sempre succedere, perché a provocare una tragedia basta anche solo una testa calda. Però indubbiamente da noi la situazione è migliore. Direi che due sono le ragioni principali. La prima è che in Italia la presenza islamica è meno urbanizzata, più dispersa nella provincia e nei piccoli centri, dove la gente ha relazioni più strette, si conosce meglio, interagisce in modo più continuo e approfondito. La seconda è che l'opera di prevenzione ha funzionato, come dimostrano anche i molti arresti effettuati".