Potrebbe essere un
passo storico, una grande occasione, anche se il cammino è ancora
molto lungo. Le armi, benzina di ogni conflitto, continuano, oggi
come in passato, a viaggiare per il mondo senza alcun controllo.
Eppure, forse, qualcosa sta cambiando, e non è utopia immaginare un
orizzonte diverso. Con i voti unanimi di Senato e Camera, l'Italia ha
appena ratificato il Trattato sugli Armamenti, la prima legislazione
internazionale a imporre un controllo sul commercio di armi.
Un
risultato tutt'altro che scontato, ottenuto in tempi record (la firma
del testo, momento propedeutico alla ratifica vera e propria, è
avvenuta lo scorso 3 giugno) e possibile solo grazie al concorso
positivo di tutto il Parlamento e del Governo. Un passo che la
società civile invocava da decenni, ma che a molti pareva
irrealizzabile, visti gli enormi interessi economici legati
all'export di armamenti e lo strapotere delle lobby produttrici.
Il nostro Paese è
il quinto al mondo e il primo nell'Unione Europea a ratificare il
Trattato. Perché il testo entri in vigore serve l'adesione di
cinquanta Stati. Resta ancora molto da fare, dunque.
Il sì italiano,
però, ha un peso particolare e non può essere considerato solo come
uno tra i tanti. Infatti, nonostante limiti e paradossi, il nostro
Paese può vantare una grande esperienza nel campo del controllo
degli armamenti e una legislazione all'avanguardia, ottenuta anche
grazie alla tenace mobilitazione della società civile. La speranza è
che la scelta dell'Italia possa servire da traino per altri Paesi.
Tra le associazioni
impegnate sul campo la soddisfazione è tangibile. In prima linea
Rete Italiana per il Disarmo, Amnesty International e Oxfam Italia,
tutte realtà attive nell'ambito della campagna internazionale
Control Arms.
«Quello di oggi», sottolinea Elisa Bacciotti,
direttrice Dipartimento Campagne e Cittadinanza attiva Oxfam Italia,
«è anche il frutto dell’impegno pluriennale di decine di migliaia
di attivisti in tutto il mondo». E il pensiero va a quei 40.000
volti raccolti in Italia nelle prime fasi della mobilitazione per il
Trattato, a metà degli anni Duemila.
«Dobbiamo considerare questo
come un primo passo da completare», aggiunge Francesco Vignarca,
coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo, «altrimenti si
potrebbe trattare solo di una occasione persa. Senza una forte e
chiara implementazione dei meccanismi di controllo e un futuro
miglioramento di alcuni standard nel testo del Trattato si rischia di
avere un dispositivo inefficace, se non nelle buone intenzioni. Ma
noi siamo fiduciosi».
Certo, anche il
Trattato ha le sue zone d'ombra. Come gli esperti di Control Arms
hanno più volte osservato, la sua adozione riguarda solo i
principali sistemi d’arma più le armi leggere e di piccolo calibro
ma non di tutte le categorie. Su munizioni e componenti di armi il
controllo è molto più limitato, mentre restano esclusi sia le armi
da fuoco che non hanno un esclusivo uso militare sia i trasferimenti
di armi all'interno di accordi governativi e programmi di assistenza
e cooperazione militari.
I segnali positivi,
comunque, non mancano. Da sola l’Unione Europea potrebbe garantire
più della metà delle ratifiche necessarie all’effettiva entrata
in vigore del Trattato e molti si augurano che la scelta italiana
diventi "contagiosa". Ma c'è di più: secondo fonti
diplomatiche accreditate anche gli Stati Uniti firmeranno il testo,
con il Segretario di Stato John Kerry, nell’ambito dell’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite. Notizia che, se confermata,
imprimerebbe una svolta epocale alla storia del Trattato.