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giovedì 07 novembre 2024
 
il tour con la PFM
 

«Sul palco eravamo come una tribù di indiani»

16/07/2019  L'intervista a Franz Di Cioccio, batterista, cantante e tra i fondatori della PFM, che in occasione dei 40 anni del tour con Fabrizio De André, ha ricordato lo storico concerto

«Il primo esempio di collaborazione tra due modi completamente diversi di concepire ed eseguire le canzoni», così il grande Fabrizio De André definì quelli che furono alcuni tra i concerti più belli della storia della nostra musica e che nel 1979 lo portarono in giro per l’Italia con la PFM. Un azzardo, secondo alcuni, che si rivelò invece un mix formidabile: gli arrangiamenti del gruppo rock diedero un nuovo smalto ai capolavori del cantautore. Ebbero fiducia gli uni dell’altro e si misero a disposizione nel migliore dei modi possibili.

Vi riproponiamo un'intervista del 2019 a Franz Di Cioccio, batterista, cantante e tra i fondatori del gruppo, in cui ci ha raccontato la genesi di una collaborazione che diede frutti indimenticabili.

Chi ha avuto l’idea quarant’anni fa?

«Conoscevamo Fabrizio perché avevamo lavorato con lui nel 1970 per l’album La buona novella. Le strade poi si sono divise. Venne, poi, a trovarci durante un nostro concerto a Nuoro e ci invitò a pranzo all’Agnata, la sua tenuta. Noi eravamo appena rientrati da un tour negli Usa dove si usava collaborare tra musicisti diversi tra loro. Mi venne in mente di proporgli qualcosa che non aveva mai provato nessuno: cantautore e band rock».

Accettò senza pensarci?

«Gli dissi che era un modo per vedere i suoi fan dal vivo. Rimase colpito. Sino ad allora aveva fatto pochi concerti e non amava salire sul palco. Figuriamoci su uno di 15 metri e con qualche tonnellata di watt. Ne era spaventato, ma decise di pensarci. Il pensiero divenne realtà quando tutti lo sconsigliarono: “Se mi dicono di non farlo significa che è pericoloso. Allora lo faccio” disse. E ci siamo messi a lavorare».

Come è avvenuta la scelta delle canzoni da inserire in scaletta?

«Ci ha lasciato mano libera. Il suo repertorio è vastissimo e abbiamo optato per la varietà cercando canzoni diverse tra loro. Poi abbiamo rivestito i suoi brani straordinari dando ancora più valore ed esaltando i testi. La nostra forte musicalità non ha coperto il cantautore».

Si dice che sia difficile fare rock in Italia per via della lingua...

«Non è così se c’è uno che scrive come lui. Ai suoi testi il rock ha dato ulteriore forza espressiva, continuando a raccontare quando nivano le parole».

De André non amava stare sul palco. Come è stata la tournée?

Avevamo inventato un gioco per metterlo a suo agio. Gli dicevamo: “Fabrizio, stai tranquillo i tuoi guerrieri sono tutti qua”. E, come in una tribù, ci eravamo dati tutti, musicisti e tecnici, un nome indiano. Lui era Coda di lupo (è il titolo di una sua canzone), io ero Due orsi (dalle mie origini, orso lombardo e marsicano), Mussida era Alpe grigio, Patrick il francese (c’è sempre nelle storie degli indiani), Premoli era Mister Fisa, Colombo il tastierista Naso di fata, Lucio Fabbri era Douceur. Un bel clima. La cosa si ripete con la nuova formazione allargata (Premoli e Ascolese saranno guest star), c’è un bel cambio circolare di musica. Tanti strumenti per creare un effetto non da triste rievocazione. Ma per celebrare un momento importante della storia della musica italiana: quando siamo diventati popolari, non nel senso di commerciali, ma nella capacità di arrivare al cuore delle persone».

Una curiosità, come nasce il nome del vostro gruppo?

«Volevamo qualcosa che rappresentasse un lavoro artigiano. Abbiamo preso il nome di un forno di Brescia, perché come i panettieri lavoravamo di notte».

 
 
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