Tra le carte custodite dalla famiglia di don Tonino Bello c'è questo documento inedito: il testo dell'omelia che scrisse per i funerali di Raffaele, fratello della cognata Velia e morto giovanissimo in un incidente stradale: «Se le parole degli uomini si frantumano in fredde sillabe prive di vigore, le parole di Dio hanno il sovrumano potere di consolare».
Sotto vi proponiamo il testo integrale dell'omelia alternandolo alle immagini fotografiche delle pagine scritte da don Tonino.
Cari fratelli, che il vincolo del sangue o la voce del cuore o il sentimento dell'amicizia ha radunato qui insieme, per rendere l'estremo saluto e l'omaggio della più affettuosa preghiera a un giovanetto, che fino all'altro ieri sorrideva in mezzo a noi, carico di sogni e di speranze!
Se non fossi certo di offendere in questo momento il dolore di tutti, mi verrebbe il desiderio di commentarvi la frase di un celebre poeta latino "Quem dii diligunt, adulescens moritur", "Muore giovane, colui che al cielo è caro".
Ma mi sembra un imperdonabile sacrilegio il solo tentativo di lenire la vostra amarezza con la debole retorica di un pagano. Sono troppo crudeli le circostanze che hanno accompagnato questa morte penosa, perché possano bastare le vuote parole degli uomini.
Un giovanetto nel pieno rigoglio dell'età, quando tutto dice vita, esuberanza di vita, volontà di vita.
Un figlio, orfano di padre, oggetto di desideri ardenti prima, di affetti tenerissimi poi, fulcro di tante ineffabili speranze per l'avvenire.
La madre vedeva: dolore e debolezza, sacrificio e sofferenza, solitudine indicibilmente penosa. Una morte tragica in agguato a una curva della strada.
Povere parole umane! Che cosa possano mai significare di fronte alla tragica realtà di questa bara, al di là di una condoglianza stereotipata, al di là di un'espressione cordiale d'impotente compassione?
Ma se le parole degli uomini si frantumano in fredde sillabe prive di vigore, le parole di Dio hanno il sovrumano potere di alleggerire il peso di ogni sconfinato tormento e di illuminare di gioia anche il mistero della morte.
Pare una fortuita coincidenza, ma a me il pensiero è corso subito al passo evangelico che ascolteremo nella liturgia di domenica prossima.
Gesù stava per entrare in Nain a poche miglia da Nazaret, quando incrociò un corteo. Portavano al sepolcro il giovane figlio di una vedova. Costei aveva perso lo sposo pochi anni prima. Le era rimasto questo figlio solo e ora portava a sotterrare anche lui. Gesù vide la madre che andava tra le donne, piangendo con quel pianto attonito e rattenuto delle madri.
Aveva al mondo due uomini che le volevano bene: era morto il primo, era morto il secondo, uno dopo l'altro. Tutti e due spariti. Restava sola, una donna sola, senza un uomo. Sparito l'amore memoria della gioventù; sparito l'amore speranza dell'età declinante. Finiti tutti e due quei poveri, semplici amori. Squallore e solitudine reganavano ora nella sua casa, affollata soltanto di lancinanti ricordi, e i giorni per lei scorrevano monotoni, tristi, interminabili. Gesù ebbe pietà di quella madre.
«Non piangere» disse pieno di intima compassione. Poi si avvicinò alla bara e la toccò. Il giovane vi giaceva disteso, avvolto nel lenzuolo, ma col viso scoperto composto nel lividore ansioso dei morti.
«Giovinetto, ti dico lévati, su!» E quello, obbediente, si levò a sedere sulla bara. E Gesù lo rese a sua madre, che, con le gramaglie disfatte dalle lacrime, accolse tra le sue braccia il figlio risuscitato.
Cari fratelli, di queste due frasi pronunciate da Gesù, "Non piangere", "Giovinetto, risorgi", la fede ci autorizza a ripetere stamattina l'una e l'altra.
Non piangere donna. è vero, il dolore ti ha sbarrato più volte la strada. E l'uscio di casa fuori si è chiuso ancora, gemendo, dietro un altro che non torna mai più. Ma non sciupare le tue lascrime. Se le versi per terra, diventano fango; se le rivolgi al cielo, brillano come perle al sole. Gli uomini non le raccolgono perché ne ignorano il valore. Dinnanzi alle tue pene altro non sanno fare che tacere. Ma c'è chi le conosce, chi le raccoglie, se tu gliele porgi, e le conta a una a una, e le semina per trarre frutti di consolazione.
Ma possiamo dire anche l'altra frase di Gesù: "Giovanetto, risorgi!". Sì, Gesù l'ha detto: «Io sono la risurrezione e la vita». Ha assicurato che chi vive credendo in lui non muore per sempre. Ha mostrato nella morte non l'annientamento angoscioso e crudele, ma il tramonto di una giornata; non un portone di uscita, ma una porta di ingresso.
Resta, sì, nella morte, il suo peso di pena, ma quanta luce di speranza e quale ricchezza di conforti interiori alleviano quel peso, rasserendando chi parte e chi resta. Per Gesù la morte non è che un sonno. Un sonno più profondo del sonno comune e giornaliero. Così profondo che soltanto un amore sovrumano lo rompe. Amore dei superstiti più che del dormiente.
C'è un passo del libro della Sapienza che in questo momento vorrei ricordare a quanti, amici e coetanei del povero Raffaele, si stringono intorno alla sua inerte persone avvolta nel gelo della morte. "Fu rapito perché la malizia non alterasse il suo spirito, e la seduzione non ingannasse l'anima sua"
Cari giovani, accogliete il monito supremo che parte dalla bara di questo vostro amico che ha conosciuto la notte prima della sera, e trasformate la vostra vita in un impegno costante di lavoro, di obbedienza, di sacrificio e di purezza!
E ora ti preghiamo, o Signore, coralmente, tutti insieme.
Per la giovinezza freschissima e promettente di questo tuo servo, per i dolori indicibili della sua agonia, per la nostra sconfinata afflizione, per l'amore che tu hai portato alla tua mamma, la Madonna del Riposo, dona a Raffaele la luce del riposo eterno nel cielo, e a sua madre che resta sola sulla terra, stelo senza fiore, dona la forza di compiere, fino all'ultimo, la tua volontà.