Dice che è «una legge che non risolve tutti i problemi, ma che prova a conciliare i diritti della persona e l’umanizzazione degli ultimi tempi di vita, lasciando fuori sia il suicidio assistito che l’eutanasia». Mario Marazziti, presidente della Commissione per gli Affari sociali della Camera si è battuto per l’approvazione di alcuni emendamenti alla legge sul fine vita che evitano sia l’accanimento che l’abbandono terapeutico. Soprattutto, ha cercato di indirizzare la discussione «su un testo che non fosse costruito guardando ai casi estremi, ma pensando a tutti». Approvata alla fine con soli 37 voti contrari, la legge ha cercato di fare sintesi tra i diversi orientamenti con un «metodo in qualche modo costituente, che ha avuto come obiettivo tutelare la vita e la salute, combattere il dolore, la sofferenza, l’isolamento e la disperazione. Accompagnando le persone, quando è tempo, a una fine dignitosa nel rispetto delle loro convinzioni profonde».
Come avete lavorato?
«Oltre 33 ore di votazioni in Commissione, in aula lo avete visto. Un anno di lavoro. Rispettando le emozioni di storie tragiche. Ma lasciando fuori i casi estremi. Non si fanno mai leggi buone sui casi estremi. C’era un vuoto, che in questi anni è stato riempito più volte dai giudici, sempre dalla parte dell’interruzione dei trattamenti, come la sentenza Piludu in Sardegna per staccare la respirazione».
Che testo avete approvato?
«La prima legge in Italia sul consenso informato – crocette da mettere in ospedale, che c’era ma non era codificato –, sulla fine della vita, sulle Disposizioni anticipate di trattamento, le Dat, e sulla pianificazione condivisa delle cure, una rinnovata alleanza medico-paziente quando entriamo in una malattia degenerativa o a esito infausto. È la mia legge? No. Non è la mia legge. In qualche misura non è la legge di nessuno. Un pezzo di Parlamento era ed è pronto per una legge sul suicidio assistito e l’eutanasia attiva. L’eliminazione del riferimento all’idratazione e alimentazione artificiali, da parte mia e colleghi prevalentemente cattolici, è stata bocciata».
Che impostazione ha il testo?
«Il diritto all’autodeterminazione è stato temperato, non è assoluto. Il medico deve rispettare le volontà delle Dat, ma il paziente non può chiedere nulla che sia contro la legge, la deontologia professionale e le buone pratiche clinico-assistenziali. In questi casi non ha obblighi professionali. Molti hanno votato contro, ma è passato. Il ruolo del medico è rientrato nel testo in più modi, senza mai prevaricare la persona. Un difficile equilibrio per un testo che è impostato sui diritti della persona. Sono contento che sia stato approvato, anche qui con il voto contrario di 5 Stelle e sinistre, l’ultimo mio emendamento, che rende le Dat vincolanti ma non gabbie che fanno del medico un esecutore di volontà: “Possono essere disattese dal medico, con il fiduciario, quando siano palesemente incongrue, non corrispondano alle condizioni cliniche attuali del paziente, o sia intervenuto un cambiamento della medicina che non era prevedibile, risolvendo molti, anche se non tutti, i problemi dell’ora per allora e della professionalità del medico”
Cos’è la “pianificazione condivisa”, che poi era il cuore del disegno di legge che portava la sua firma?
«Quando esiste una patologia cronica e invalidante, o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta, la “pianificazione condivisa” supera le Disposizioni anticipate di trattamento. Così si risolve il possibile conflitto tra la volontà del malato e quella del medico su ciò che va intrapreso, fatto, non fatto o interrotto. Anche sulla linea sottile tra accanimento terapeutico ed eutanasia».