C’è un sole che stona nella piazza affollata di Santa Croce di Camerina. I bambini della scuola elementare, accompagnati dalle maestre, si mettono in fila con i palloncini bianchi per entrare nella chiesa di San Giovanni Battista. Tanto, troppo, è stato già detto su questo omicidio.

È il giorno dell’addio a Loris Stival, trovato morto a 8 anni in un canalone di campagna il 29 novembre scorso. A ucciderlo, secondo gli inquirenti, è stata la madre Veronica Panarello che dal carcere di Catania continua a gridare la sua innocenza.

Il padre Daniele, sguardo perso nel vuoto, sorregge la bara. Sopra c’è un cuscino di fiori con la scritta: “Il papà e il fratellino”. Il cuscino della madre, un cuore composto da rose bianche e rosse con la scritta “La mamma Veronica”, resta fuori dalla chiesa, sul sagrato, in mezzo alla distesa di peluche, fiori e bigliettini portati da paesani e sconosciuti.
All’omelia il vescovo di Ragusa, monsignor Paolo Urso, prova a spiegare l’inspiegabile: «Un bambino non può morire perché un altro essere umano si è arrogato il diritto inesistente di togliergli la vita», dice. «Come si può uccidere un bambino? Solo un folle, un pericoloso folle, può compiere un tale gesto. Un folle che deve essere fermato». Non tutte le morti sono uguali. Quella di un bambino suscita domande cruciali: «Quando ciò avviene», aggiunge, «la nostra umanità si ribella e le domande insorgono e si inseguono. Non solo quelle rivolte agli uomini, ma anche quelle rivolte a Dio. Perché? Perché Dio non è intervenuto? Perché non ha bloccato la mano omicida? Se Dio è Padre, come può permettere che un bambino, innocente e indifeso, sia ucciso e buttato in un canalone?».

In prima fila papà Davide in lacrime, poi gli zii paterni Jessica, Cinzia, Davide e Salvatore, la nonna Pinuccia, e i familiari della madre.    
La maestra di Loris porge l’ultimo saluto: «I tuoi insegnanti e i tuoi compagni sentono la tua mancanza. Ci mancano i tuoi occhi castani, la tua gioia e voglia di vivere», dice. «Preghiamo ogni giorno affinché tu possa trovare lassù la pace che meriti e che qui non hai trovato, e ti chiediamo da lassù di aiutarci a comprendere il motivo di questo tragico evento. La tua scuola ti porterà sempre nel cuore».

Monsignor Paolo Urso conclude così la sua omelia: «Se non sono stato capace di dire parole veramente consolanti, sia lo stesso Signore a deporre nel cuore dei familiari del piccolo Loris e di tutti voi quelle parole che leniscono il dolore, asciugano le lacrime, rasserenano la vita».
All'uscita dalla chiesa, la bara di Loris viene sollevata più volte perché tutti possano salutarlo per l'ultima volta. In piazza, ci sono circa duemila persone. Una ragazzina in lacrime lascia andare il palloncino bianco che teneva in mano.
«Veramente l'uomo ha la spaventosa possibilità di essere disumano, di rimanere persona vendendo e perdendo al tempo stesso la propria umanità», dice il vescovo.

«Una prece», recita laconico il manifesto funebre con la foto sorridente di Loris. È quello che ci vuole, quello che resta da fare.