Pubblichiamo l'intervista a Famiglia Cristiana pubblicata nel luglio 2015 della grande cantante francese: quasi un lascito spirituale, rivolto soprattutto ai giovani.
Ha cominciato una tournée d’addio intitolata Merci, “grazie”. Perché? Juliette Gréco, la grandissima cantante francese ottantottenne, risponde senza esitazioni: «Ho un corpo e un cervello, e a un certo punto il corpo mi impone di dire basta. Prima di essere obbligata dal mio fisico, voglio che sia il mio spirito a decidere, come ho sempre fatto: lascio il palco ed è una libera scelta, l’ennesima. Ammetto che sia per me crudele e terribile lasciare il mio pubblico, ma è così, non voglio ma devo farlo».
Lei è amata nel mondo intero e in Italia è una delle icone francesi più emblematiche: cos’è l’Italia per lei?
«È e resterà sempre uno dei più bei Paesi al mondo, amo la sua gente e i suoi artisti. Personaggi immensi come Fellini e Rossellini. In Italia sono belle le strade, ed è bella la gente che ci cammina».
Lei è stata anche corteggiata da Hollywood…
«Sì, ma non ho voluto rimanere. Meglio così. Darryl Zanuck (celebre produttore cinematografico americano, ndr) mi conosceva finn troppo bene: “Non voglio che tu resti a Los Angeles o a Hollywood, finirei per doverti cercare in giro per i commissariati”, mi diceva».
Se fosse costretta a stipare i ricordi della sua carriera in un bagaglio, cosa porterebbe con sé?
«Sicuramente la prima volta che ho cantato davanti a un pubblico. E poi uno dei ricordi più struggenti è stato un concerto in Germania, nell’immediato dopoguerra: ero stata invitata dalla Filarmonica di Berlino su richiesta di Von Karajan. Ero commossa fino alle lacrime. Cantavo davanti ai tedeschi mentre si levavano davanti ai miei occhi le immagini di mia madre e di mia sorella deportate dai nazisti. Aveva qualcosa di terribile essere lì».
Che messaggio vorrebbe far passare alla gioventù di oggi?
«C’era una volta uno che si chiamava Gesù ed era solito dire “amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amati”. Amatevi gli uni gli altri, rispettatevi, siate comprensivi verso gli altri, sostenetevi, da sempre è la mia divisa».
Nella sua carriera ha incontrato personaggi eccezionali: ne cito alcuni, può dirmi cosa hanno significato per lei ? Boris Vian, ad esempio...
«Mi ha insegnato a parlare di nuovo. Quando l’ho incontrato ero da poco uscita dalla prigione di Fresnes (detenuta come prigioniera politica per sostegno alla Resistenza, ndr). In quel luogo sinistro la parola significava insulto, umiliazione. Sono uscita di lì ed ero come muta, Boris Vian mi ha ridato il gusto della parola».
Che ricordo ha di Sartre?
«Se Vian mi ha ridato il piacere delle parole, Sartre mi ha insegnato la responsabilità che contengono le cose che diciamo, mi ha insegnato il peso di ogni frase, la gravità che sta nel dire stupidaggini…».
Edith Piaf?
«Avevo un’ammirazione folle per lei, era un genio immenso, lei però non amava me; Edith Piaf non amava le donne in genere, diciamo pure, le detestava, le vedeva tutte come possibili rivali. Consideravo questo atteggiamento assurdo, perché lei era un’artista talmente grande da non dover temere niente e nessuno, eppure… Tutti questi personaggi che lei ha citato mi hanno fatto nascere una seconda volta, l’autentica me stessa è rinata con loro e grazie a loro».
Un’ultima domanda. Lei ha fatto milioni di cose straordinarie in 65 anni di carriera: ha qualche rimpianto, qualche progetto incompiuto che vorrebbe magari ancora compiere?
«No, non ho nessun rimpianto e nessun progetto. Mi rimetto completamente nelle mani di coloro che mi amano e mi auguro semplicemente di vivere serenamente il tempo che mi sarà concesso».