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lunedì 17 marzo 2025
 
intervista
 

L'uomo che inventò il partito azienda

12/06/2023  Dopo la caduta del muro ebbe l'intuizione di sostituire il vuoto creato dalla Dc, dal Psi e dalle altre forze politiche. Il politologo Piero Ignazi: «Far sopravvivere un partito senza le risorse economiche del suo fondatore e leader sarà molto difficile. Può darsi che sopravviva ma resterà ai margini e non al centro della politica»

Il politologo Piero Ignazi, 72 anni
Il politologo Piero Ignazi, 72 anni

L’inizio: il 1994, l’anno della discesa in campo. E la fine: il 2023, la morte di Berlusconi. Sono questi, secondo Piero Ignazi, politologo, professore ordinario al Dipartimento di Scienze politiche e sociali all'Università di Bologna e già direttore della rivista Il Mulino, gli estremi cronologici del berlusconismo, che ha dominato la Seconda Repubblica, stagione che il Cavaliere ha contribuito a creare sulle macerie dei partiti della Prima travolti dallo scandalo di Tangentopoli.

Ignazi nel 2014 aveva pubblicato il libro Vent’anni dopo – La parabola del berlusconismo. A maggio è arrivata in libreria l’edizione aggiornata de Il polo escluso – La fiamma che non si spegne: da Almirante a Meloni (Il Mulino), uscito per la prima volta nel 1989 per raccontare la parabola dei post fascisti dall’Msi ad Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini che proprio con Berlusconi andò al governo per la prima volta nel 1994.

«Il berlusconismo», spiega Ignazi, «è finito quando Berlusconi ha ceduto lo scettro per ragioni naturali. È stato un personaggio politico che ha avuto il primato mondiale di longevità nella carica di leader di partito che ha ricoperto, da dominatore incontrastato, per quasi trent’anni. Un’anomalia per le democrazie occidentali perché non ci sono esempi analoghi. E non è l’unica che riguarda Silvio Berlusconi».

Le altre quali sono?

«La prima è che Forza Italia, un nome che è quasi uno slogan con il riferimento agli azzurri, è stato un partito che si è identificato totalmente con il suo fondatore per varie ragioni di carattere strutturale. Il partito, di fatto, è stato creato con la struttura imprenditoriale e comunicativa e le risorse economiche dell’impero berlusconiano: i manager di Publitalia, i dirigenti del Milan. Tutti coloro che ruotavano attorno alle attività imprenditoriali di Berlusconi sono stati chiamati a dirigere il partito. La seconda è che l’Italia è stato l’unico paese a livello europeo ad avere a capo di un partito uno degli uomini più ricchi del paese. La terza, la totale identificazione del partito con Berlusconi. È stato il suo carisma politico a creare alleanze, come quella con Alleanza Nazionale di Fini, e a mantenerle con alleati a volte riottosi, com’è stato Umberto Bossi e poi anche lo stesso Fini».

Perché il berlusconismo ha dominato la Seconda Repubbica?

«È stato in grado di intercettare quei settori dell’opinione pubblica che non avevano un referente perché non c’era più la Democrazia Cristiana. Il moderatismo, che non aveva più uno sbocco politico, è sfociato in un sentimento di carattere populista, perché Berlusconi e Bossi sono gli iniziatori del populismo italiano. Inoltre, il Cavaliere aveva dalla sua due elementi: la disponibilità dei media e la capacità di utilizzarli molto bene».

Il Cavaliere ha portato al governo anche il Msi che nel 1995, con la svolta di Fiuggi, diventa Alleanza Nazionale.

«Il famoso endorsement di Berlusconi nei confronti di Fini in corsa per il Campidoglio nel 1993 è stato clamoroso perché, fino a quel momento, nessun esponente della classe dirigente del Paese si era mai espresso così platealmente e chiaramente a favore dei missini entrando, come si dice, con i piedi nel piatto. Anche se il Msi già da un po’ di anni non era più quell’elemento pericoloso per la democrazia com’era stato in certi momenti, perché, da un lato, stava andando alla deriva e non aveva più nulla da dire e, dall’altro, la coltivazione della nostalgia per il Ventennio era vista anche da sinistra come un innocuo passatempo. Quando Bettino Craxi inaugurò il suo primo governo nel 1983 disse che non c’erano gruppi parlamentari che dovevano essere esclusi dalle consultazioni. Qualche anno dopo ci furono alcune legittimazioni reciproche tra Pci e Msi con Giorgio Almirante che nel 1984 andò in visita alla camera ardente di Enrico Berlinguer e, quattro anni dopo, Nilde Iotti e Giancarlo Pajetta, che fecero lo stesso quando morì il leader del Msi».

Quali sono le caratteristiche del berlusconismo?

«Una concezione della politica ridotta a una questione ragionieristica. La narrazione è tanto semplice quanto efficace: non c’è più il teatrino della politica, le liturgie dei partiti, le lungaggini delle discussioni, le passioni delle ideologie. Ci pensiamo noi, uomini del fare abituati a mandare avanti le aziende. Una concezione molto ingenua e qualunquista che ammicca a quella di Guglielmo Giannini del 1946 il quale diceva che bastava un ragioniere per guidare lo Stato. Poi c’è un ingrediente che va in tutt’altra direzione».

Di cosa si tratta?

«L’appello ideologico anticomunista. L’obiettivo era rivitalizzare quella parte di elettorato anti sinistra che in questi anni è stato fortemente motivato e mobilitato da Berlusconi. In uno dei suoi primi appelli affermò che i comunisti portano miseria e morte. Si faceva fatica a credere che un politico nel ‘94 potesse dire quelle cose. L’ostilità alla sinistra è la chiave identificativa del berlusconismo e in nome di quest’ostilità andava bene tutto. Non c’è mai stato nulla della cultura politica liberale ma solo un impasto di qualunquismo e populismo che è andato avanti lungo questa traiettoria adattando, di volta in volta, i messaggi alle situazioni».

Nel 2011 inizia il declino della parabola politica di Forza Italia anche se Berlusconi ha continuato a rivestire un ruolo importante.

«Il berlusconismo si è esaurito perché ha dato prove drammatiche di fallimento al governo, come è accaduto nel 2011, e per la condanna del 2013 nel “processo Mediaset” che nonostante le mille iniziative per evitare i processi alla fine è arrivata. Una condanna che per alcuni è stata, come per Donald Trump, l’unzione del martirio e per altri la doverosa sanzione di un comportamento illecito».

Che futuro avrà Forza Italia?

«Far sopravvivere un partito senza le risorse economiche del suo fondatore e leader sarà molto difficile. Può darsi che sopravviva ma resterà ai margini e non al centro della politica».

 

 

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