L'aborto è un dramma da qualunque parte lo si guardi. Ed è un dramma
che viene vissuto in estrema solitudine dalle donne che decidono di
affrontarlo. Lo raccontano i medici: negli ospedali le persone hanno
sempre una persona accanto, i familiari che si danno i turni, l'amica
che fa compagnia o comunque il vicino di letto con cui scambiare due
chiacchiere.
Questo non succede quando avviene un'interruzione di gravidanza. Spesso
le donne non vengono accompagnate da nessuno e difficilmente si confrontano con un
volto amico. Il bambino che aspettano è di un uomo che probabilmente le
ha abbandonate o le ha indotte ad abortire.
Ma altre volte quel bambino ha un padre che non sa nulla della sua esistenza o,
peggio, ne è a conoscenza ma non è stata nemmeno chiesta la sua
opinione. Perché questo prevede la legge. Una legge per cui non è prevista che la sua voce abbia un peso e una legge che spinge comunque l'uomo a deresponsabilizzarsi riguardo un evento, la nascita di un figlio suo, che lo vorrebbe invece protagonista insieme alla sua compagna.
E per questo accanto a uomini che hanno deliberatamente e vigliaccamente deciso di non interessarsi della questione e con il loro silenzio sono comunque complici molti altri la subiscono, a volte senza combattere, altre volte pur avendo espresso il desiderio di mettere al mondo il bambino, senza essere presi in considerazione.
Ma anche per loro, come per le donne, l'interruzione di una gravidanza resta una dolorosa ferita con cui fare i conti.