Tutto parte nel giugno 2019 da un’indagine per corruzione, della Repubblica di Perugia, a carico di Luca Palamara, membro del Consiglio superiore della magistratura tra il 2014 e il 2018, ex presidente dell’Associazione magistrati, esponente della corrente Unicost. L’indagine è relativa fatti relativi all’epoca in cui Palamara ha fatto parte del Consiglio superiore. Secondo l’accusa un avvocato e due imprenditori gli averebbero dato denaro e altre utilità (cosa che Palamara smentisce) per favorire nomine cui erano interessati.
Che cosa c’entra Perugia
Al momento in cui l'indagine parte Luca Palamara è sostituto procuratore a Roma, Perugia è la sede competente secondo la legge a occuparsi di notizie di reato che riguardino, come vittime o come indagati, magistrati in servizio a Roma.
In che modo la vicenda riguarda il Csm 2018-2022
Nelle intercettazioni, inviate dalla procura di Perugia al Csm, compaiono anche i nomi di cinque consiglieri in carica nel 2019, uno di loro Luigi Spina (Unicost) è indagato per rivelazione di segreto d’ufficio, secondo gli atti di Perugia, avrebbe rivelato a Palamara l’esistenza dell’indagine a suo carico; Gli altri quattro, Luigi Morlini (Unicost) Corrado Cartoni (Mi), Luigi Lepre (Mi), e Paolo Criscuoli (Mi), non indagati, avrebbero partecipato a incontri non ufficiali, nei quali alla presenza di Palamara e di figure politiche che non fanno parte del Consiglio, si sarebbe parlato della nomina del nuovo capo della procura di Roma, posto vacante da quando è andato in pensione, l’8 maggio Giuseppe Pignatone, e di altre importanti procure, tra queste proprio Perugia, vacante dal 1° giugno. Tra i presenti agli incontri Luca Lotti deputato del Partito democratico (poi autosospeso dal partito), che in quel momento risulta indagato proprio dalla Procura di Roma per il caso Consip, e Cosimo Ferri, magistrato in aspettativa, poi Iv già deputato Pd, già sottosegretario per la Giustizia, e prima Segretario di Magistratura indipendente, la corrente più “a destra” delle toghe.
Perché la faccenda desta scandalo al di là dei reati
Le intercettazioni sollevano il dubbio che si sia provato a indirizzare nomine di procuratori, non soltanto facendo prevalere sul curriculum logiche di spartizione tra correnti – tema già di per sé indice di dubbia trasparenza del quale si discute da molti anni dentro e fuori dalla magistratura – ma, cosa più preoccupante, tenendo conto di interessi privati di singoli: magistrati, politici, terzi, che avrebbero gradito, per questioni personali, a Roma un candidato in discontinuità con la gestione di Giuseppe Pignatone.
Come ha potuto l'indagine su un caso estendersi così (effetto trojan horse)
Il telefono di Luca Palamara è stato messo sotto controllo con uno strumento più invasivo e pervasivo di un’intercettazione ordinaria. Si tratta di un virus informatico – noto come trojan horse – che infettando lo smartphone da mettere sotto controllo lo trasforma in una cimice che registra non solo tutto quello che avviene con quel telefono (messaggi, chiamate, video…), ma registra come si farebbe in un’intercettazione ambientale tutte le parole che si dicono, da parte di chiunque, in qualsiasi luogo, in presenza di quel telefono acceso, cosa che amplifica di parecchio i rischi per la riservatezza di terzi ignari ed estranei che entrino in contatto a qualunque titolo con l’indagato intercettato. Lo strumento era nato per smascherare i summit mafiosi, il suo utilizzo è stato esteso ai reati tipici della pubblica amministrazione con la cosiddetta legge “spazzacorrotti”. E forse soltanto con questa indagine in corso a Perugia se ne comprende, a fondo, la pervasività, anticipatamente segnalata con preoccupazione dal Garante della privacy che nel maggio scorso denunciava il rischio - in assenza di regolamentazioni ad hoc - che simili strumenti degenerino «in mezzi di sorveglianza massiva».
Le conseguenze immediate sul Csm
Soltanto uno, l’unico indagato, dei cinque membri Csm 2018-22 citati nelle intercettazioni si è dimesso nell’immediato. Gli altri si erano autosospesi. Ne è seguito un braccio di ferro tra l’assemblea plenaria del Csm (plenum) convocata il 4 giugno 2019 e il comitato direttivo dell’Associazione nazionale magistrati, da una parte, che chiedevano che le autosospensioni diventassero dimissioni e la corrente Magistratura indipendente, dall’altra, che – sola contro tutte le altre - ha “blindato” i propri autosospesi chiedendo loro di tornare al lavoro in Consiglio.
La spaccatura è stata così profonda da determinare, nel giro di pochi giorni, le dimissioni di Pasquale Grasso prima da presidente da Magistratura Indipendente e, successivamente, dalla presidenza dell'Associazione nazionale magistrati (Anm), infine la sfiducia della Giunta dell’Anm. Anche Antonello Racanelli ha laciato il suo ruolo di Segretario di Magistratura indipendente. A Pasquale Grasso è subentrato il 16 giugno Luca Poniz (Magistatura democratica - Md); A Racanelli Giuliano Caputo (Unicost).
Dopo l’avvio del procedimento disciplinare per tutti i cinque inizialmente autosospesi, anche Morlini e Lepre e poi Cartoni, pur ribadendo la propria correttezza, si sono dimessi. Intanto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha indetto per ottobre nuove elezioni per sostituire i togati per la cui posizione non c’è una lista di non eletti cui attingere. L’atto scongiura lo scioglimento del Consiglio, di cui pure si era parlato come di uno scenario possibile, e dovrebbe consentire al Csm di riprendere l’attività.
Una sola indagine, ma tre piani diversi
Le vicende variamente intrecciate che emergono dagli atti di Perugia, trasmessi al Csm solo nella parte “ostensibile”, cioè conoscibile senza pregiudizio per il prosieguo dell’indagine, investono tre piani diversi, non necessariamente sovrapponibili. Il procedimento penale che farà il suo corso nelle aule di giustizia e deve occuparsi solo dei reati: accertando se siano stati commessi e da chi e, nel caso, sanzionando di conseguenza. L’aspetto deontologico/disciplinare, di cui si occuperà l’apposita commissione del Csm, di cui non fanno più parte ovviamente i consiglieri sottoposti a procedimento disciplinare: rientrano in questo ambito tutte le condotte, non necessariamente penalmente rilevanti, che siano anche solo inopportune e tali da ledere il prestigio dell’istituzione. C’è poi un aspetto in senso lato, indirettamente, politico: un caso di così grave crisi, infatti, non può che determinare decisioni da parte delle istituzioni che, a seconda del merito, possono incidere sul sistema Paese.
Come e perché la crisi del Csm riguarda tutti noi
Il primo rischio, che si materializza subito, è la sfiducia generalizzata nelle istituzioni da parte del cittadino, cosa che quasi mai favorisce una democrazia più sana, specie se a perdere credibilità è l’istituzione che deve garantire i diritti dei più deboli. Il secondo rischio è che l’innegabile crisi costituisca l’occasione per riforme affrettate che possano negativamente incidere sull’indipendenza della magistratura. E in particolare la preoccupazione maggiore è che la confusione di questo momento possa costituire un efficace pretesto per realizzare un desiderio mai nascosto da una parte della politica: assoggettare il Pubblico ministero all’esecutivo, cosa che finirebbe per tradursi in una legge meno uguale per tutti e in una minore tutela per i diritti dei deboli. Proprio mentre la Corte di giustizia dell’Unione Europea indica, pronunciandosi sul mandato di arresto europeo, la direzione diametralmente opposta.
Perché si riparla del caso nel maggio 2020
Maggio 2020. Il 21 aprile è stato depositato l’atto di chiusura indagini a carico del magistrato Luca Palamara e degli altri imputati dell'inchiesta di Perugia, che dovrebbe preludere al rinvio a giudizio. L’avviso di chiusura indagini spiega le nuove intercettazioni (contenute in atti non più segreti perché noti alle parti) uscite sulla stampa, tutte relative al periodo dell’indagine ormai chiusa e precedenti all’attuale Csm, ridisegnato (con equilibri di corrente diversi) dopo il rimpasto, a seguito delle dimissioni avvenute tra la primavera e l’estate 2019.
Che cosa c’è di nuovo
Sono finiti, così, sui giornali scambi privati di chat di Palamara con magistrati e con altri interlocutori. Una fantasmagorica rete di contatti che pare l’estremo opposto dell’ascetico magistrato senza commensali dell’apologo di Calamandrei nell’Elogio dei giudici.
Ne emergono segnalazioni, maldicenze, pettegolezzi, commenti di natura politica e calcistica. Fiumi di parole, molte delle quali irrilevanti su tutti i profili, ma in qualche modo rivelatrici di un contesto. L’immagine della magistratura non ne esce bene, perché le chiacchiere (che in sé non sono reato né illecito disciplinare) danno l’idea di un clima diffuso (più di quanto sembrasse un anno fa) di degenerazione, da cui si ricava la sgradevole impressione che sia “naturale” discutere di nomine di magistrati al di fuori delle sedi ufficiali segnalando appartenenze di corrente, amicizie, ambizioni, in un clima che non somiglia a quello rigoroso e asettico di titoli e meriti professionali che ci si aspetterebbe dagli arbitri della Repubblica.
L’intercettazione su Salvini
L’intercettazione che più desta polemica è quella nella quale, a proposito del caso Diciotti, un magistrato dice a Palamara che non condivide la contestazione penale all’allora ministro Salvini. Palamara replica: «Hai ragione, però adesso bisogna attaccarlo». La frase è infelice in sé perché si presta a lasciar intendere una concezione della funzione che fa pensare – vero, fraintendimento o millanteria che sia – che chi la dice sia disposto a concepire di piegare l’azione penale a secondi fini, con il rischio che il discredito che ne deriva ricada sull’intera magistratura. I due interlocutori non sono, però, in alcun modo coinvolti, né direttamente, né indirettamente in nessuno dei procedimenti che riguardano Salvini e dunque non avrebbero neanche volendo potuto incidere sul caso Diciotti per il quale tra l’altro la Procura aveva chiesto l’archiviazione poi respinta dal tribunale dei ministri di Catania.
Perché è difficile capire
In questo proliferare di parole in libertà – alcune delle quali decisamente deprecapibili e indicative di malcostumi - non è semplicissimo orientarsi e distinguere, senza tono e contesto, una millanteria da una verità, una blandizie da una intenzione messa in atto, una maldicenza da un giudizio con conseguenze. E non è nemmeno semplicissimo capire, quando si leggono riportate a pezzi e variamente interpretate, se l’interpretazione sia un fatto o un’illazione.
Che cosa succede ora
Il caso intanto però ha trascinato, con l’ovvio discredito istituzionale, conseguenze concrete: le dimissioni di presidente e segretario dell’Associazione Nazionale magistrati (rimasti in carica per gli affari correnti) da una parte e dall’altra l’azione del ministero della Giustizia: il ministro Bonafede ha annunciato riforma del sistema elettorale del Csm, stretta sulla possibilità di passare da funzioni requirenti a giudicanti e viceversa (passaggio già oggi piuttosto disagevole), impossibilità per magistrati che ricoprano incarichi politici di rientrare alle funzioni magistratuali. Anche il presidente della Repubblica è intervenuto sul tema con una nota, rispondendo a chi, Salvini tra loro, ha sollecitato il suo intervento, in qualità di presidente del Csm. (L'irrigidimento dei passaggi tra funzioni e la riforma delle porte girevoli saranno attuate in parte in seguito dalla successiva riforma Cartabia).
Concluso il procedimento disciplinare, Palamara non è più magistrato
Dopo l'espulsione dall'Associazione Nazionale magistrati decisa il 19 settembre, si è concluso, il 9 ottobre 2020, il processo disciplinare per Luca Palamara, già sospeso dallo stipendio e dalle funzioni: la sanzione è la più dura possibile, la radiazione dalla Magistratura ordinaria. La sentenza disciplinare accoglie in pieno la tesi dell'Avvocato generale della Corte di Cassazione, Pietro Gaeta, che nel corso del procedimento disciplinare sostenendo l'accusa con Simone Perelli, aveva chiesto la massima sanzione, sostenendo che l'ormai notoria riunione all'Hotel Champagne: "era fuori da qualsiasi schema di legalità". Non solo "La condotta è grave perché un provato e personale rapporto di amicizia con alcuni uomini politici, uno dei quali inquisito, ha scalzato, sostituito e si è integralmente sovrapposto alla corretta e normale interlocuzione istituzionale tra i membri togati del Csm. Ciò ha comportato che interessi di diversa origine, ancorché convergenti di tre soggetti estranei all'attuale Csm contribuissero a indirizzare la nomina del procuratore di Roma". Ma: "Si è trattato di un'indebita manipolazione dei meccanismi decisori di tipo istituzionale in sedi non istituzionali in forma occulta". Qualcosa che secondo i giudici disciplinari andava molto al di là anche delle più deprecabili spartizioni di corrente. Palamara, alla fine, difeso da Stefano Giaime Guizzi, ha rinunciato a rendere dichiarazioni spontanee. A seguito di questa decisione Palamara non fa più parte del potere giudiziario. Continua il suo corso a Perugia il procedimento penale.
La rimozione diventa definitiva
Il 4 agosto 2021 a nove mesi dalla decisione del Consiglio superiore della magistratura le Sezioni unite civili della Cassazione hanno rigettato il ricorso dell’ex presidente dell’Anm, Luca Palamara, contro la sentenza con la quale la Sezione disciplinare il 9 ottobre 2020 lo aveva condannato alla rimozione dall’ordine giudiziario. La sentenza di rimozione è diventata così definitiva.
Una candidatura che fa discutere
Il 7 agosto 2021 Luca Palamara ha annunciato la propria candidatura alle elezioni suppletive per la Camera dei Deputati nel collegio Roma Primavalle. Si presenta con il proprio nome e con un simbolo proprio, ma lo sostiene il partito radicale nella cui sede la candidatura è stata annunciata. La notizia com'è naturale suscita dibattito. Da un lato è infatti noto il fatto che Luca Palamara ha cominciato a riferire la propria “verità” sugli scaldali nella magistratura e nelle nomine dei vertici degli uffici giudiziari soltanto dopo che la procura di Perugia aveva avviato l’indagine e scoperchiato il caso che lo ha coinvolto, cosa che fa di lui un portatore non di verità incontrovertibili ma di un punto di vista, certo interno e informato, ma non disinteressato, tanto più che deve difendersi a Perugia in un processo per corruzione a partire dal 15 novembre 2021. Dall’altro non manca chi rilevi che, per chi sia stato radiato dalla magistratura per motivi che attengono a improprie interlocuzioni con la politica, il salto del fosso verso la politica attiva risulti quantomeno repentino. Al termine della tornata elettorale Palamara si ferma al 6% e non viene eletto.
CADE L'ACCUSA DI CORRUZIONE, RESTA IL TRAFFICO DI INFLUENZE
Il 18 aprile 2023 nel corso del processo penale la Procura della Repubblica di Perugia ha derubricato il reato contestato a Palamara da corruzione a traffico di influenze in relazione alle «utilità» che avrebbe ricevuto dall'imprenditore Centofanti - secondo la procura, interessato, «ad accrescere il suo prestigio di lobbista e portatore di interessi propri e di terzi» - come corrispettivo di «una mediazione illecita verso altri magistrati investiti di funzioni giudiziarie, componenti del Consiglio superiore della magistratura e altri pubblici ufficiali». Come Centofanti che ha gia patteggiato la sua pena, anche Luca Palamara ha annunciato l'intenzione di accedere al rito alternativo dell'applicazione della pena su richiesta, commentando: "E' caduta ogni ipotesi corruttiva nella nuova contestazione della Procura di Perugia. Accedo ai riti alternativi senza riconoscere alcuna forma di mia responsabilità ma solo per liberarmi dal fardello dei processi ed essere così più libero di portare avanti la battaglia di verità per una giustizia giusta". A incidere sulla decisione della Procura di Perugia l'impatto giurisprudenziale della sentenza della Cassazione che ha a assolto nel 2021 Gianni Alemanno e che secondo l'interpretazione dei procuratori avrebbe alzato l'asticella dello standard richiesto per ritenere provata la corruzione in giudizio.