Tra un paio di settimane - in alcune regioni qualche giorno prima (in Piemonte, ad esempio, l'11 settembre), in altre qualche giorno dopo (nel Lazio il 15) - inizierà il nuovo anno scolastico. Ma se è vero che d'estate, in genere, di scuola non si parla molto, quest'anno non è stato affatto così. A far intervenire media ed esperti sulle questioni scolastiche, ci ha pensato la stessa ministra dell'Istruzione Valeria Fedeli, con numerosi interventi attorno ai più svariati temi.
Prima di Ferragosto a tenere banco sono state le discussioni sul cosiddetto "liceo breve" (un percorso di scuola secondaria superiore abbreviato di un anno, dunque della durata 4 anziché 5 anni), che sarà sperimentato, a partire dal nuovo anno scolastico, in 100 sezioni di altrettanti istituti. Il decreto è stato firmato, e dunque la cosa si farà. Ma si tratta di una sperimentazione controversa, perché in pochi ne comprendono le motivazioni. Consentire ai ragazzi di inserirsi prima nel mondo del lavoro, si è sentito dire: ma dove sono tutte queste opportunità occupazionali ad attenerli là fuori? Adeguarsi ai parametri europei, si è pure detto: ma - a parte il fatto che in molti Paesi dell'Unione Europea la scuola superiore dura 5 anni, esattamente come da noi - siamo sicuri che sia sempre una buona idea quella di sposare acriticamente tutto ciò che, come si dice, "arriva dall'Europa"? Nei confronti di questa prospettiva si sono manifestati fortemente contrari i sindacati della scuola, che temono una diminuzione dei posti di lavoro.
Nei giorni scorsi, poi, la ministra è intervenuta, a margine di un dibattito al Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, su altri argomenti. Ha ipotizzato un innalzamento dell'obbligo scolastico ai 18 anni d'età, quindi 2 in più degli attuali 16. Questa volta i sindacati si sono mostrati favorevoli, per il motivo speculare a quello per il quale avevano bocciato la sperimentazione del liceo breve. Tanto da indurre a pensare, a voler essere un po' maliziosi, che la sequenzialità dei due interventi della ministra non sia casuale. Sul merito della proposta, poi, molti esperti hanno sottolineato che il vero problema è la dispersione scolastica: a che cosa serve innalzare l'età dell'obbligo se, in ogni caso, perdiamo gli studenti per strada?
In seguito la titolare del dicastero di Viale Trastevere ha affermato che gli insegnanti italiani andrebbero pagati meglio. «Non si può andare avanti», ha detto, «con salari degli insegnanti tra i più basi d'Europa. Se ci sono competenze e professionalità che si ritengono importanti, è giusto riconoscerle dal punto di vista sociale e retributivo». Su questo tutti d'accordo: sappiamo che i nostri docenti sono tra i peggio pagati tra quelli dei Paesi economicamente avanzati. E non c'è dubbio che la valorizzazione di una professione passi anche attraverso una retribuzione adeguata.
Di questa girandola di dichiarazioni e proclami rimane però difficile capire la reale portata. Chiariamo subito una cosa, a scanso di equivoci: di Valeria Fedeli apprezziamo la capacità di ascoltare il mondo della scuola e l'attitudine al dialogo con le sue diverse componenti, qualità che invece erano in parte mancate ai suoi ultimi predecessori. Detto questo, però, sarebbe bene che la ministra chiarisse la concreta sostanza delle proprie affermazioni.
A oggi non si capisce, infatti, se questi interventi sono semplici auspici, pie intenzioni, ballon d'essai oppure se la ministra è pronta ad assumersi fino in fondo la responsabilità delle sue parole. Ad esempio spiegando quali sono gli specifici progetti per perseguire quegli obiettivi e quali le risorse finanziarie a cui attingere. Quale iter legislativo ipotizza per innalzare l'obbligo scolastico fino alla maggiore età? In che misura intende retribuire maggiormente i docenti? Nell'ambito del rinnovo contrattuale di categoria attualmente in corso (dopo 11 anni di blocco), i lavoratori della scuola otterranno, se andrà bene, pochi euro in più in busta paga (stante anche quanto previsto dalla Legge di stabilità 2017, cioè che l'aumento massimo non potrà superare gli 85 euro lordi). Inoltre, nell’intesa Funzione Pubblica-Sindacati e nell’Atto di indirizzo del Miur (in via di definizione) non risulta esserci traccia del recupero del costo dell'inflazione dell'ultimo decennio (si calcola che in 10 anni gli stipendi dei docenti italiani abbiano perso il 20% del loro valore). Evidentemente, siamo di fronte qualcosa di ben lontano da quella retribuzione adeguata auspicata dalla ministra.
Insomma, bisognerebbe che alle parole seguissero i fatti. Diversamente tutto ciò rischia di rimanere al livello di chiacchiere da spiaggia. Ma sotto l'ombrellone - per i pochi giorni di vacanze che rimangono prima della ripresa delle scuole - ci sarebbero argomenti più ameni di cui parlare.
(foto in alto: Ansa)