Luca Fortunato.
Sono registrati come “presidi socio-assistenziali d’accoglienza” per i “senza fissa dimora”. Ma sono molto di più. Perché non si tratta solo di spazi dove persone prive di un alloggio possono trovarlo- e ovviamente senza distinzione di sesso, credo, etnia…Insieme al letto, ad una doccia, ad un buon pasto, nelle “Capanne di Betlemme”- una delle diverse realtà dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi – gli ospiti, per tutto il tempo in cui restano, trovano sempre ciò di cui spesso avvertono l’assenza più terribile. E cioè qualcuno uno con cui parlare, condividere esperienze, stringere amicizie. E magari cominciare a costruire un futuro diverso. Oggi, le “Capanne di Betlemme” (chiamate così da don Benzi ricordando cos’era accaduto a Maria e Giuseppe in cerca di albergo), sono sette in Italia ed altre tre in Russia, Albania e Bolivia. La prima è stata aperta nel 1987 a Rimini. Le persone che ci arrivano, spesso insieme ai volontari delle cosiddette “Unità di strada” che sono andati a cercarle, incontrandole nelle stazioni, sotto i ponti, dentro rifugi improvvisati (“quando i poveri non vengono a cercarci, dobbiamo andare noi a cercarli”, questo il mandato), non solo possono trovare qui per periodi di mesi o più quella famiglia che non hanno mai avuto, dalla quale si sono allontanate, o che le hanno respinte; ma anche la possibilità di uscire da condizioni di emarginazione attraverso percorsi di reinserimento sociale su misura.
A Chieti, dove la “Capanna” sorge in pieno centro in un ampio edificio, un tempo plesso scolastico delle Orsoline (da loro donato all’arcivescovo Bruno Forte e da questi a sua volta fatto donare direttamente alla “Comunità Papa Giovanni XXIII”), incontriamo Luca Fortunato. Da oltre vent’anni ha fatto la scelta dei poveri, convinto -dice- che “se scegli i poveri avrai la gioia, la verità, la pace”, e che “il segreto della felicità sta nella condivisione con gli ultimi”. Sta qui come responsabile sin dall’apertura l’8 settembre 2014 “una data scelta ”- ci ricorda- “nella festa della Natività di Maria per affidare a lei questo posto dove far sentire la nostra prossimità a quanti non sanno dove sbattere la testa”. “Un posto”- continua- “dove certamente eroghiamo dei servizi, ma facendo leva sulla costruzione di relazioni”. L’obiettivo? “Far uscire chi viene a stare con noi dalla solitudine, che è, ne ho la prova dopo anni di esperienza, la forma di povertà più pesante…”. Luca, classe 1981, educatore professionale e coordinatore di comunità socio-sanitarie educative, sposato con Cecilia, una figlia “generata nell’amore” (termine con cui traduce la parola “adozione”) ed una creatura in arrivo (“ai primi di giugno”), nativo di Barletta e affascinato dal vescovo Tonino Bello e da San Francesco dall’ adolescenza, volontario con l’Unitalsi per tanti anni, nel 2004 mentre percorre il Cammino di Santiago de Compostela decide di andare in missione. Da qui l’incontro con don Benzi e un periodo in Africa, nello Zambia, poi il rientro in Italia deciso a proseguire in “un impegno a vita” con quelli che chiama “i miei fratelli”, cioè i poveri per i quali – confida- “tante volte, giovanissimo, sognavo di aprire un hotel di lusso”. La “Capanna” di Chieti non lo è, ma non sembra mancare di ciò che è necessario - anche grazie all’aiuto della Caritas Diocesana - e la rende veramente ospitale: dal clima di famiglia ad ambienti di sobria bellezza (cappellina compresa, dove si celebra messa e si fa adorazione ogni giorno).
Qualcosa che negli anni è stato apprezzato da chi ne ha goduto, e da chi oggi vive qui. In questo periodo sono settantatré gli ospiti presenti. Sulle loro spalle storie disparate, in parte simili ad altre raccontate da Luca nel suo libro “La matematica dell’amore”(Edizioni Sempre) dove i protagonisti sono inconsapevoli collaboratori di Dio, al quale hanno prestato volto e voce, riverberando amore su amore. Esempi? “Padri separati rimasti senza lavoro, donne vittime di violenza, anche con bambini, famiglie sotto sfratto esecutivo, ragazzi di strada con patologie psichiche, anziani con disabilità fisiche, gente finita sulla strada con ammortizzatori sociali insufficienti per pagare un affitto comprare cibo, medicine”, spiega Luca. E aggiunge: “Abbiamo accolto anche persone con dipendenze, ma in questo caso per accompagnarle nelle strutture apposite, pronti ad accoglierle dopo i periodi di cure necessarie..”. Insomma gente finita sulla strada anche per gli insufficienti ammortizzatori sociali, senza la possibilità di pagare un affitto, di curarsi...un dramma in molte aree del nostro Paese. Le loro giornate nella Capanna rispettano un programma concordato all’ingresso. Raccontato in sintesi più o meno questo: “Colazione alle 8, momento di preghiera nel rispetto di ogni religione, pulizia degli ambienti, laboratori in base alle attitudini di ciascuno: in falegnameria, in cucina, in lavori di facchinaggio o sgomberi, donando le cose più belle che recuperiamo ad altri poveri…”. Il dono come gesto riabilitativo? “Sì, soprattutto però, come modo di far fare esperienza di gratuità a chi ha perso tutto, ma che replica, per così dire, lo schema di Cristo. Detto questo vogliamo che i nostri amici riacquistino anche una quotidianità familiare. Oltre agli impegni di lavoro condividiamo momenti di svago, andiamo al cinema, in pizzeria, al mare, in montagna, cantiamo, giochiamo, passeggiamo usciamo, qui siamo proprio in centro...”.
E la gente del posto? come vi vede? Luca risponde: “ Beh, sono lontani i tempi in cui, all’inizio, ci ha fatto un po’ la guerra. Ora ci vuole bene, ci conosce. Larga parte dei volontari è di qui...I chietini ci portano cose. Socializzano. Le amministrazioni collaborano. Tutti hanno capito che vogliamo solo fare del bene. Come dice il nostro arcivescovo che viene spesso a trovarci, la nostra è anche la storia di un piccolo miracolo nel cuore della città”. Questo piccolo miracolo continua anche per merito dei molti giovani che decidono di fare un’esperienza alla Capanna o di andare ad incontrare i senza fissa dimora sulle strade insieme con gli altri volontari della “Papa Giovanni XXIII”. “Grazie Luca, grazie di cuore davvero a te e ai tuoi ragazzi, a tutto quello che fai in quel posto meraviglioso, alla bellezza che coltivi ogni giorno, alle persone che cresci e che immagino ti facciano crescere ogni giorno...Grazie perché mi hai insegnato a spaccare nella vita, sulle orme di Gesù e dell’amicizia sana e potentissima che riempie il cuore e aiuta nel cammino..:”, si legge in messaggio firmato da una diciassettenne dopo giornate di condivisione alla “Capanna”. E in un altro firmato da un ventisettenne troviamo scritto: “Ciao Luca!...Sai ci tenevo a condividere un pensiero che ad un mese di rientro da un’esperienza viva e vera come quella vissuta in capanna mi ha molto rincuorato...Non solo sono stato bene e ho imparato a condividere un po’ di più quello che spesso mi porto solo sulle mie spalle, ma ho scoperto l’enorme potenza che hanno i ‘poveri’ scoprendomi più povero di loro. Io, che in tutto ho sempre voluto esser grande e più in alto di tutti, per un attimo ho apprezzato l’essere infinitamente piccolo e fragile, a guardare gli altri con occhi nuovi sentendoli fratelli, amici. Ma la grande rivelazione per me è stata portare questo sguardo a casa dove vivo, in una famiglia speciale che però non ho mai compreso e accettato fino in fondo…”.