Ha scelto di andare a Lampedusa in mezzo ai profughi, ultimi tra gli ultimi. Per abbracciare il loro destino e dare un segno di speranza a chi è appena sbarcato sull'isola dopo un viaggio inumano, schiacciato tra un passato di sofferenze e un futuro non meno incerto.
La visita di papa Francesco a Lampedusa, programmata per lunedì 8 luglio, è l'ennesima conferma di un'assoluta vicinanza ai poveri e ai dimenticati, ben visibile fin dai primi istanti del suo pontificato. Una scelta che la Caritas italiana, costantemente impegnata nell'aiuto ai profughi, accoglie «con riconoscenza e soddisfazione». Ma anche con la speranza che la presenza del Papa sull'isola possa risvegliare le coscienze e richiamare l'attenzione sul dramma dei viaggi della speranza nel Mediterraneo.
Parliamo di una tragedia di proporzioni immani, in cui hanno perso la vita quasi 19mila persone dal 1988 a oggi. E mentre nuovi disperati continuano a varcare le nostre frontiere (solo nei primi mesi del 2013 si contano 5.000 sbarchi) le condizioni dei profughi rischiano di diventare sempre più dure. A marzo il Governo ha decretato ufficialmente la fine della cosiddetta Emergenza Nord Africa (progetto nato due anni fa per far fronte ai cospicui arrivi da Tunisia e Libia).
Ma l'emergenza reale non è affatto finita. Lo sanno bene gli operatori delle 69 Caritas diocesane che per 22 mesi hanno assistito 2.932 profughi, mettendo a disposizione non solo vitto e alloggio, ma anche la presenza di mediatori culturali, assistenti legali, psicologi, insegnanti. Tante le storie incontrate: impossibile dimenticare la tragedia silenziosa dei cittadini subsahariani, immigrati in Libia per lavorare e poi costretti a fuggire durante il conflitto, oppure deportati e perseguitati per ragioni etniche.
Le cronache più recenti ci restituiscono un quadro internazionale tutt'altro che rassicurante (basti pensare alle drammatiche situazioni di Siria ed Egitto), cosa che fa temere nuove tensioni e nuove ondate migratorie nei prossimi mesi. La Caritas continuerà a lavorare incessantemente, come ha fatto nei due anni dell'emergenza Nord Africa, sulle banchine di Lampedusa, lungo i binari di Ventimiglia, ma anche nei tanti centri sparsi sul territorio nazionale, per dare accoglienza a profughi arrivati da ogni parte del mondo.
Un impegno tenace e instancabile, che però chiede di essere sostenuto, anche sul piano legislativo, con provvedimenti adeguati, non lacunosi, e pienamente rispettosi della dignità della persona. «Nella sua complessità e con il carico di sofferenza che manifesta – dichiara monsignor Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento – il fenomeno immigratorio è l'espressione di un bisogno di giustizia che riguarda milioni di figli di Dio e che non può più essere taciuto».
In un quadro così drammatico e imprevedibile, che a volte rischia di lasciar posto alla disperazione e al senso di impotenza, la presenza di papa Francesco a Lampedusa si carica di un valore ben più che simbolico. E' un segno concreto, è una carezza di speranza che, come sottolinea don Francesco Soddu, direttore Caritas Italiana «incoraggia la Caritas e l’intera Chiesa nel costante impegno a favore degli ultimi e ci spinge ad andare verso le periferie dell’esistenza».